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Ritratto di Alvaro e Poesie in Grigioverde

di Carmelina Sicari

Mi capita tra le mani una vecchia edizione dell'Opera omnia di Alvaro con prefazione di Libero Bigiaretti: è interessante il ritratto di Alvaro che traccia uno dei critici che più gli furono vicini. Intanto il ritratto è fisico e morale e naturalmente comprende brani della sua biografia e tratti della sua opera. Colpisce il ritratto che integra quello celeberrimo di Pancrazi, Il volto dello scrittore come un pugno. La sua statura piccola e la voce senza più accento meridionale che è bassa ed intensa, lo rendevano somigliante ad un ritratto giovanile di Gor'ki'j, più mugik che pastore. Ma soprattutto Bigiaretti costruisce il ritratto attraverso le sue opere con una premessa iniziale. Tutti i personaggi di Alvaro portano una parte di lui in sé. Di molti il critico esclama - è lui, è Alvaro - colto in un gesto in un'espressione, in un movimento, in un'inflessione. Il volto a pugno ha un messaggio. Lavora, lavora diceva Alvaro ai giovani così come era stato detto a lui e come è detto ad alcuni personaggi. Il volto a pugno chiuso esprime la tenacia e la forza ma anche l'amarezza ed il dolore.

Bigiaretti ricorda il premio La fiera letteraria rifiutato ad Alvaro per ordine di Mussolini, l'imposizione del regime perché dell'opera dello scrittore venga riconosciuto soprattutto L'uomo è forte. Il sospetto che questo libro sia propaganda del regime. Ad Alvaro viene attribuito il premio de La Stampa giornale a cui egli collaborava come inviato speciale. Mussolini non gli perdonava la collaborazione a Il mondo di Giovanni Amendola. Ma Alvaro collabora anche a Il Novecento. Anzi la sua faccia a pugno esprime ancora un altro elemento, il contrasto tra due mondi: quello europeo a cui partecipa con passione e l'altro rude, primitivo. La passione letteraria raffinata con l'eco di D'Annunzio e la vocazione verghiana.

La passione letteraria si trova nelle pagine dell'Età breve. Rinaldo Diacono sa sostanzialmente una cosa, di voler divenire poeta. Ma il volto a pugno duro contiene anche il segreto della scrittura alvariana, il contrasto dimidiato tra biografia e autobiografia, tra rappresentazione nei personaggi e il diario. Così in Quasi una vita prevale il diario ma nei personaggi come Antonello di Gente d'Aspromonte, l'autobiografia viene come oggettivata, realisticamente rappresentata fuori dal soggetto.

Ma allora come è il ritratto di Alvaro moralmente, interiore? Il lirismo delle opere come L'età breve ci propone l'idea di una tendenza autobiografica poetica intimistica ma esiste ed è questo un altro elemento di contrasto, il cimento morale come rifiuto dell'oppressione. L'uomo è forte propone proprio questo rifiuto, l'esaltazione della libertà e l'utopia come in Belmoro, tutti elementi che gli derivano dalla sua regione di origine e dalla Calabria ricava fierezza ed orgoglio, il ribellismo di Antonello.

Il ritratto di Alvaro è composito e pieno di contrasti, sia quello fisico che quello morale e letterario ma è affascinante. Il contrasto si delinea immediatamente all'esordio come poeta. Alvaro esordisce con Le poesie in grigioverde che si riferiscono all'esperienza della Grande Guerra, composte nel ‘17 sono sedici: alcune di esse ricompaiono nell’edizione del ‘42. Sostanzialmente delle due anime, quella secondo Baldacci dannunziana in una verghiana, prevale quella dannunziana che d'altra parte si era manifesta nell'acceso interventismo di Alvaro. Lo ricorda Umberto Bosco che era stato suo compagno di Liceo. Coerente con lo spirito interventista, Alvaro partecipa alla guerra come sottotenente e viene anche ferito. La guerra è per lui, come dice Ferdinando Virdia, la grande officina di un'apertura che va al di là dei confini nazionali. Dei sedici componimenti resta l'epopea della morte, la figurazione del contadino soldato. Nessun rapporto con la produzione successiva. Un apprendistato giovanile che manca anche di quell'irenismo che anima ad esempio alcuni scrittori come Serra che muore nel ‘15 e che c'è ad esempio nella poesia di Ungaretti.

Alle poesie grigioverdi ha dedicato un saggio Antonio Resta e Toscano nel convegno di studi alvariani tenutosi a Reggio Calabria nel ‘78. L'epopea della morte è in Consolazione e culmina nel verso: Non lo piangete non era egli forte / ed ha scelto come suo capolavoro / la morte.

Resta eco nelle poesie del rapporto familiare come in Lettera a casa ma non c'è il dato generazionale, comune a tanti poeti della sua generazione di un anelito alla pace che c'è in Ungaretti dicevamo ma anche in Martini, in Mariani e che si respira nel carteggio Gadda Tecchi. Un indizio della futura anima verghiana si trova in Artigiano soldato che nella raccolta del ‘42 diviene Contadino soldato.

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