Nell'annunciare
l'apparizione dell'ennesimo testo di #Tolkien, postumo, #BerenAndLuthien, Michele
Mari su Repubblica con stupore constata che la saga di Tolkien, ormai
è diventata
cantiere infinito. A
chiosare ulteriormente l'affermazione esasperata, il critico aggiunge
che lo stesso è accaduto a Pascoli, a Nietzsche giacché
l'ennesimo
testo esce a cura del figlio di Tolkien così
come
è accaduto per i testi di Nietzsche e di Pascoli curati, dopo la
morte dei loro autori, dalle rispettive sorelle, sacerdotesse non
sempre per la verità fedeli. Ma per Tolkien la durata della saga ha
a mio giudizio una ragione speciale: Il mito non può
morire.
Racconto un episodio di
recente cronaca che mi riguarda da vicino. In occasione del giro
d'Italia, a Reggio Calabria, la città più lontana da tutto, tanto
che per raggiungerla ci vogliono 12 ore, il tempo di una trasvolata
transatlantica, c'era scritto all'arrivo: Benvenuti nella città del
mito. Un invito ancora più improbabile e lontano. Eppure c'era
dentro una verità profonda che i Bronzi, ospiti o numi tutelari
della città, testimoniano. La memoria resistente di un passato
lontano che contiene la grandezza dell'uomo, la sua possibilità di
riscatto e di altruismo. Proprio questa è la profezia dei Bronzi e
proprio in questo sta l'attaccamento inconscio o consapevole che la
città ha nei loro confronti, tanto da considerarli inamovibili.
L'eroe dai mille volti, titolava una sua opera Joseph Campbell e
così è.
Non
è un caso che nella pagina accanto a questa di Tolkien, sempre su
Repubblica si parla di Kennedy per
il suo anniversario.
John Kennedy è nato il 29 maggio
del
1917.
Tutto
è mutato ab illo tempore. Eppure la memoria è tenace. Noi
rimpiangiamo quell'America come rimpiangiamo
Tolkien. La saga di Tolkien racconta come quella dei Nibelunghi di un
tempo antichissimo ma anche di una lotta eterna che si ripete
costantemente tra il potere, cioè
il
Male e la libertà cioè
il
Bene. E come nella saga dei Nibelunghi l'anello del potere ha i suoi
cultori ma anche il territorio del bene ha i suoi. C'è una
particolarità in Tolkien. I cultori del bene sono piccoli uomini,
gli Hobbit perché
ciò
che
è piccolo e quasi invisibile ad occhi, è grande. Il paradosso è
questo ma come in tutte le saghe l'eroe è destinato al sacrificio,
come Sigfrido, il piccolo Frodo, il portatore dell'anello. Come
Kennedy. Tra ritorni e nostalgie, Tolkien racconta la vicenda
dell'umanità, il mito dell'eroe dai mille volti di cui conserviamo
tenace memoria.
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