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Chiesetta di Cleto. Per il comune era inalienabile


Longo, Morcavallo, Filice e Montuoro
CLETO, Cs – “Quello che appartiene al popolo, deve tornare al popolo”. Non usa mezzi termini il sindaco Giuseppe Longo quando parla della chiesetta del Santissimo Rosario, nel corso dell’incontro con la cittadinanza convocato per spiegare la singolare diatriba - che alimenta peraltro lo scontro con l’opposizione politica - tra il comune e l’imprenditore olandese che aveva acquistato l’ex luogo di culto per 10 mila euro dalla parrocchia di S. Maria Assunta. Una compravendita perfezionata tra luglio e ottobre 2015, contestata dal comune perché avvenuta nel mentre il municipio era commissariato (a seguito della caduta della precedente amministrazione Longo), e perché ha poi determinato la non eseguibilità dei lavori già finanziati per 300 mila euro e appaltati prima che la chiesa venisse venduta, ed altre conseguenze quali la perdita del finanziamento stesso, e l’impossibilità di rendere agibile la via d’accesso al castello normanno posto proprio nelle vicinanze della chiesa castellense.
Un bel maniero, donato al comune da Lelio de Dominicis nell’ottobre 1990 quando era sindaco lo stesso Longo, e riconsegnato alla comunità nel 2010 dopo il restauro. 
Quello del primo cittadino è stato un discorso volto a trovare soluzioni con la controparte: sono state ripercorse le tappe della vicenda e ricordati anche i tentativi fatti al fine di un componimento bonario. Che purtroppo non hanno sortito quanto sperato e che hanno portato a luglio 2016, come primo atto del riconfermato sindaco alle elezioni, alla dichiarazione di pubblica utilità della chiesa da parte del consiglio comunale, ed al successivo esproprio. Un atto amministrativo contro il quale l’imprenditore olandese Roel Van Hoolwerff ha proposto ricorso al Tar che ha annullato l’esproprio per difetto di notifica. Ora sarà il Consiglio di Stato a decidere nell’udienza di ottobre. “Anche se vinciamo la causa – ha annunciato il sindaco – le porte rimangono aperte. Il dialogo continua. Ma nero su bianco”. Già, perché al comune ancora non esiste nessun progetto su come sarà utilizzata la chiesa da parte dell’attuale proprietario, sebbene le idee siano state esposte pubblicamente in due occasioni, e che dovrebbero prevedere all’interno della chiesa una fonderia di campane in bronzo, negozi di souvenir nel borgo di Cleto, trasformato in albergo diffuso e decine e decine di posti di lavoro.
A seguire, il vice sindaco Filice ha evidenziato il fenomeno tutto italiano della mercificazione dei beni culturali, richiamando l’attenzione sulla questione più controversa: inalienabilità del bene. La chiesa non poteva essere venduta poiché in origine apparteneva al castello, come conferma una relazione della Soprintendenza che correda il decreto 39/2014 col quale si dichiara l’interesse pubblico della chiesa; inoltre non è stato esercitato il diritto di prelazione perché il comune, all’epoca commissariato, ha ricevuto la comunicazione proprio il giorno in cui è spirato il termine per poter esercitare il diritto.
L’incontro è proseguito con gli interventi del legale Morcavallo difensore del comune nella causa ora all’attenzione del Consiglio di Stato, e dell’assessore Montuoro.
La questione non è di facile risoluzione, perché ci sono in mezzo i danni subiti sia dall’ente che dalla ditta appaltatrice, oggetto di un esposto contro terzi presentato alla procura di Paola.
Rassegna Stampa

Link post precedenti
https://brunopino.blogspot.it/2017/05/il-castello-e-la-chiesa-castellense-di.html
https://brunopino.blogspot.it/2017/05/rebus-chiesetta-di-cleto-quale-e-il-suo.html
http://brunopino.blogspot.it/2017/04/beni-culturali-la-vicenda-della-chiesa.html
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