A
centocinquanta anni dalla nascita nel 1867, Pirandello continua a
restare il protagonista assoluto del rinnovamento teatrale, di una
rivoluzione espressiva davvero a livello mondiale. Dalla stroncatura
di Benedetto Croce del saggio su L'umorismo del
l908, sembra esser trascorso un millennio, tanta è la copia di
esaltazione dell'opera pirandelliana.
L'annuale
convegno di studi pirandelliani organizzato per decenni ad Agrigento
dall'infaticabile prof. Lauretta, ha puntualmente posto l'accento
sugli studi più innovativi
del settore e sulle tematiche più
interne ed essenziali,
dall'idea del teatro nel teatro,
alla struttura del 'doppio', all'altra dello specchio.
La critica francese soprattutto con Gardair e in Italia, con Pareyson ha posto l'accento sul rapporto con l'estetica e la filosofia, con la psicologia e con i risvolti antropologici. Restano però fondamentali, al centro del dibattito critico, i saggi di Giovanni Macchia e di Giacomo Debenedetti. Se nelle tematiche ispirate allo strutturalismo, il tema dello specchio, dell'inconoscibilità della realtà prevaleva, insieme al tema del doppio, della duplicazione del soggetto e della realtà stessa, Giovanni Macchia giustamente pone al centro il motivo della distorsione umoristica del reale e la sua scomposizione. Come un'erma bifronte che da una faccia piange e dall'altra ride così è la realtà in Pirandello e dunque in nuce nella sua riflessione fin dalle Novelle e fin dai primi romanzi come L'esclusa, esiste la vocazione del teatro: così l'allucinato rapporto tra vita e morte, il fantasmatico scolorire della realtà in fantasmi mentali che le tolgono consistenza e spessore. Giovanni Macchia ha il merito di aver colto la complessità dell'opera pirandelliana e di averla collocata in contesto critico unitario, nell'aver individuato una solida struttura con un richiamo costante tra romanzi, novelle e teatro. Oltre la duplice visione umoristica di una realtà divisa e unita dal rapporto vita-morte, c'è una seconda struttura: la pupazzata, l'idea che in questa struttura l'uomo è pupo, eterodiretto, incapace di liberare l'esistenza. Lo tentano i Sei personaggi con la loro ribellione al capocomico che invano cerca di portare ordine nel caos dell'esistenza. E c'è qui in nuce l'idea antinaturalistica ed antiletteraria del teatro e dell'opera letteraria che si oppone ad una visione ipocrita, ordinata dell'esistenza e della storia come della letteratura. L'antiletterarietà colloca Pirandello sul piano delle più ardite avanguardie. Non è un caso che nel '16 con Il berretto a sonagli, come nel '21 con i Sei personaggi, la contestazione nei suoi confronti fu violenta da parte del pubblico soprattutto, disturbato nei suoi cliché mentali e culturali. Ma già nel 1917 con Così è se vi pare di cui ricorre il centenario dell'apparizione, tutto era già accaduto. Le ultime composizioni teatrali come Trovarsi dedicata e donata a Marta Abba, non facevano che sancire definitivamente la rivoluzione novecentesca operata da Pirandello. Giacomo Debenedetti dedica ai Quaderni di Serafino Gubbio ed a Fu Mattia Pascal la sua riflessione. Mattia Pascal, il morto vivente è del 1904, Serafino Gubbio è stato pubblicato nel '25. In entrambi, il critico trova le radici del Novecento. Schlemihl che alla fine de L'umorismo, nel racconto di Chamisso lì citato, insegue la sua ombra, e anticipa la distorsione umoristica. Ma in Serafino Gubbio c'è la macchina cinematografica che ingoia la vita e la storia ed anticipa il nostro tempo con l'immagine che trionfa sulla vita reale. Anche se la conclusione sembra appartenere alla vita con una tragedia che esplode ed un reale spargimento di morte e di sangue, tuttavia tutte e due i romanzi si aggirano sul tema della falsificazione della vita e della storia. Non è un caso che al culmine dell'epifania di Enrico IV, il protagonista gridi - Il piacere della storia che è così grande. Giacché nella storia tutto è compiuto. La follia e la morte sono i novissimi del Novecento di cui Pirandello è il più grande profeta.
La critica francese soprattutto con Gardair e in Italia, con Pareyson ha posto l'accento sul rapporto con l'estetica e la filosofia, con la psicologia e con i risvolti antropologici. Restano però fondamentali, al centro del dibattito critico, i saggi di Giovanni Macchia e di Giacomo Debenedetti. Se nelle tematiche ispirate allo strutturalismo, il tema dello specchio, dell'inconoscibilità della realtà prevaleva, insieme al tema del doppio, della duplicazione del soggetto e della realtà stessa, Giovanni Macchia giustamente pone al centro il motivo della distorsione umoristica del reale e la sua scomposizione. Come un'erma bifronte che da una faccia piange e dall'altra ride così è la realtà in Pirandello e dunque in nuce nella sua riflessione fin dalle Novelle e fin dai primi romanzi come L'esclusa, esiste la vocazione del teatro: così l'allucinato rapporto tra vita e morte, il fantasmatico scolorire della realtà in fantasmi mentali che le tolgono consistenza e spessore. Giovanni Macchia ha il merito di aver colto la complessità dell'opera pirandelliana e di averla collocata in contesto critico unitario, nell'aver individuato una solida struttura con un richiamo costante tra romanzi, novelle e teatro. Oltre la duplice visione umoristica di una realtà divisa e unita dal rapporto vita-morte, c'è una seconda struttura: la pupazzata, l'idea che in questa struttura l'uomo è pupo, eterodiretto, incapace di liberare l'esistenza. Lo tentano i Sei personaggi con la loro ribellione al capocomico che invano cerca di portare ordine nel caos dell'esistenza. E c'è qui in nuce l'idea antinaturalistica ed antiletteraria del teatro e dell'opera letteraria che si oppone ad una visione ipocrita, ordinata dell'esistenza e della storia come della letteratura. L'antiletterarietà colloca Pirandello sul piano delle più ardite avanguardie. Non è un caso che nel '16 con Il berretto a sonagli, come nel '21 con i Sei personaggi, la contestazione nei suoi confronti fu violenta da parte del pubblico soprattutto, disturbato nei suoi cliché mentali e culturali. Ma già nel 1917 con Così è se vi pare di cui ricorre il centenario dell'apparizione, tutto era già accaduto. Le ultime composizioni teatrali come Trovarsi dedicata e donata a Marta Abba, non facevano che sancire definitivamente la rivoluzione novecentesca operata da Pirandello. Giacomo Debenedetti dedica ai Quaderni di Serafino Gubbio ed a Fu Mattia Pascal la sua riflessione. Mattia Pascal, il morto vivente è del 1904, Serafino Gubbio è stato pubblicato nel '25. In entrambi, il critico trova le radici del Novecento. Schlemihl che alla fine de L'umorismo, nel racconto di Chamisso lì citato, insegue la sua ombra, e anticipa la distorsione umoristica. Ma in Serafino Gubbio c'è la macchina cinematografica che ingoia la vita e la storia ed anticipa il nostro tempo con l'immagine che trionfa sulla vita reale. Anche se la conclusione sembra appartenere alla vita con una tragedia che esplode ed un reale spargimento di morte e di sangue, tuttavia tutte e due i romanzi si aggirano sul tema della falsificazione della vita e della storia. Non è un caso che al culmine dell'epifania di Enrico IV, il protagonista gridi - Il piacere della storia che è così grande. Giacché nella storia tutto è compiuto. La follia e la morte sono i novissimi del Novecento di cui Pirandello è il più grande profeta.
Ma
ora? Dove va la critica? Tocca agli epigoni esplorarne I
miti,
ossia la morte della bellezza e della poesia ne
I giganti
della montagna,
la possibile rinascita nell'utopia de La
nuova colonia. Dal
punto di vista stilistico resta da esplorare il romanzo saggio da
Pirandello inaugurato proprio ne I
quaderni di Serafino Gubbio con
tutti i suggerimenti
e le inserzioni
di interi brani dei
Saggi.
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