Ecce homo. Maurizio Ferraris docente di Filosofia all'Università di Torino torna a parlare di Nietzsche e del periodo torinese del filosofo
L'ho
provato, ho provato l'ineffabile sensazione di comprendere dinanzi ad
un'immagine. Di comprendere il senso del titolo nietzscheano
Ecce homo e
l'immagine era quella del Cristo alla colonna. Ineffabile dicevo. La
gioia di avere compreso fino in fondo il senso che il filosofo voleva
comunicarci. La fine dell'uomo, il suo crollo in una barbarie
sanguinolenta, più
violenta
di quella dei tempi andati della fionda e dell'attacco delle belve.
Mi
trovavo ad Acireale per il carnevale, uno dei più
celebri
in terra di Sicilia. Non so come capitai in una chiesa e lì
l'incontro con il busto del Cristo. Il suo volto coperto di sangue
era l'icona della sofferenza. Ma c'era qualcosa di più
di
una semplice visualizzazione del dolore. C'era la denuncia dei
persecutori, della loro ferocia, del progetto sadico per eccellenza
di voler togliere dignità a chi era in loro balia. Tutto questo
denunciava quel volto e soprattutto
gli occhi. In un lampo mi passarono davanti i campi di
concentramento, gli ebrei, il sei agosto delle bombe atomiche
chiamate per irrisione, little boy, bambino. E
giù
giù
fino
all'opaca quotidianità
di oggi, il bullismo, il femminicidio. La
ferocia. Togliere
dignità alle vittime cadute in balia, ai deboli, agli orfani, ai
vecchi, alle donne, ai bambini. Per uscire
dalla barbarie nel
Medio
Evo
ci fu un progetto pedagogico, le
cavallerie. I cavalieri pronunciavano un solenne giuramento in cui si
facevano paladini e scudo di donne, vecchi e bambini. Sul loro onore.
L'utopia attribuisce
proprio al contrario della ferocia, la dignità all'uomo. Chisciotte
nel suo viaggio incontra malandrini, prostitute, ma da cavaliere li
trasfigura conferisce loro dignità e come per incanto la dignità
viene recuperata. Ecce
homo
scritto nel 1888 in apparenza è un autoritratto dell'autore scritto
prima della follia che fa da pendant al Caso Wagner e che intende
proporre l'aforisma come si diventa quello che si vuole. In realtà
è
folgorante ed allusivo come sono tutte le opere del grande filosofo,
e
profetico.
Eppure
la grandi tragedie che dovevano accadere nel secolo successivo, il
secolo breve, dovevano ancora accadere.
Maurizio
Ferraris dedica ad Ecce
homo
un intenso saggio uscito nel 2015. Così
come aveva narrato la
volontà di potenza del filosofo, intuisce l'ironia contenuta
nell'autoritratto che corrisponde all'affermazione-aforisma di un
altro passo là dove Nietzsche dichiara perché
sono così
intelligente. La disperata ironia corrisponde alla disperata
solitudine, l'intelligenza profetica all'ottusità, di tutti
o quasi. La follia scoppiata a Torino è forse la distanza tra Ecce
homo e L’Oltre
Uomo. La
profezia di un essere luminoso che riderà dello stato precedente
così come
ora l'uomo ride della scimmia. Ecce
homo è la parte
finale di un ciclo ed apre alla speranza di un rinnovamento totale.
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