Passa ai contenuti principali

Verso la legittimazione del male

di Gae Sicari Ruffo - vice direttrice di Calabria Sconosciuta
Il recente episodio del figlio di Riina, il boss crudele, autore di stragi spaventose anche a danno dello stato, detenuto da decenni nel carcere duro a scontare la pena secolare che mai si estingue, intervistato da Vespa, a Porta a Porta, fa molto riflettere.
È il segno dell'inizio d'un cambiamento della morale tradizionale. Non tanto per il fatto in sé, che sia stata data voce a chi sta dall'altra parte della barriera, quanto per quello che ha detto. Ha scritto un libro sul padre e naturalmente, come usa da qualche tempo, viene per sponsorizzarlo e diffonderlo. In nome di quale principio? Ecco, qui sta il punto. Non è stato invitato come cittadino a chiedere scusa alla comunità in quanto figlio d'un uomo d'onore, ma per difendere le sue ragioni di figlio nei confronti d'un padre, quasi sempre assente.
Cioè egli dice, per sua ammissione di separazione delle tematiche, che non gli importa sapere chi sia suo padre, perchè di questo si occuperanno i giudici, garanti dell'ordine pubblico, gli importa sapere che egli, in qualità di figlio, viene defraudato della sua presenza e dell'assistenza. Come a dire la funzione di padre esorbita da quella dell'assassino e se egli è padre in privato, non gli importa niente che sia assassino in pubblico.
Neppure Dostewskji, che ha tanto acutamente scandagliato le ragioni del male, finendo per condannarlo, s'era spinto a tanto.
Qui non solo c'è in gioco la separazione del pubblico dal privato, ma niente di meno che la legittimazione del male: si può discutere di esso dal punto di vista pubblico, ma non sotto l'aspetto personale. Insomma la morale si sdoppia: ce n'è una per il mondo civile ed una per la sfera privata. Non coincidono. Salvo Riina vuol far sentire le sue ragioni di figlio e vorrebbe che queste prevalessero sulle ragioni del cittadino. Ma la persona è una, come sappiamo, ed è responsabile delle proprie azioni in tutti i campi, privati e pubblici. Nell'unità della coscienza l'io non può avere un suo compiacente alter-io che faccia le veci di altri a piacimento, quando gli aggrada. Ci vorrebbe Pirandello con suo articolato sillogismo per far capire l'assurdità di quest'ultima affermazione. Mi par di sentirlo disquisire in una sua ipotetica novella: Ma, signori miei, come fa un padre a mancare d'essere padre, se la natura lo ha creato così? Sì, ma la natura ha pure voluto che egli fosse assassino crudele. E che si fa? Si trascura l'uno per l'altro? Chi deve prevalere, se egli non si riconosce degenere? Chi è assassino lo è per sempre? Si è padre per sempre, assassino no!
Da qui a passare al perdono dell'assassino ed al condono delle sue colpe il passo è breve. Ecco come può essere legittimato il male e discolpato. Quasi tutti gli uomini sono padri e questa loro funzione può cancellare qualunque nequizia possa essere stata da loro commessa. In 1984 di Orwell assistiamo allo sdoppiamento della personalità, come vorrebbe il giovane Riina. C'è il pensiero che viene truccato per divenire bis-pensiero, c'è il Ministero della giustizia legittimato, che sta per quello dell'ingiustizia e così via. Ma è il paradosso d'una degenerazione dell'umano, intervenuta dopo la fine d'un mondo civile.
Ed allora diciamolo bene: si vuole, facendo così, inaugurare questa degenerazione che è molto simile alla sindrome cosiddetta di Stoccolma che consiste in una malattia psichica d'innamorarsi del proprio rapitore o divenirne schiavo consenziente. Vogliamo questo? Allora siamo tutti vittime d'una allucinazione che cambierà la nostra storia.

Commenti