Carmelina
Sicari
Università
del territorio. Al festival della filosofia di Mantova il tema
proposto è stato l'eredità. La cultura occidentale è fondata su
tale concetto. Non è un caso che il filosofo francese Nancy abbia
enunciato in modo irreversibile ed implacabile che ormai le giovani
generazioni sono prive di eredità. Il fondamento stesso della nostra
civiltà si diceva è l'eredità, l'eredità del mondo classico.
Anche quando i barbari sembrarono dover far cessare questa eredità,
si disse che i regni che nascevano dalla caduta dell'impero, erano
fondamentalmente romano-barbarici. La crisi della civiltà
occidentale si delinea nel pensiero di Hazard quando appunto la
memoria della latinità comincia ad affievolirsi. Ma quando essa
scompare, quando l'eredità si consuma allora tutto ruit in peius. S.
Agostino nel Sermone sulla caduta
di Roma nel 410 mostrava uno stupore sconfinato al tramonto di una
realtà che sembrava inamovibile ed immortale. È lo stesso stupore
che ci coglie oggi che la nostra cultura e la nostra civiltà
mostrano segni evidenti di decrepitezza e di cedimento.
Senza
eredità. Lo sbigottimento ci coglie soprattutto perché all'orizzonte si profila non un'invasione ma una mescolanza di gruppi
etnici sempre più consistenti contro cui non vale recriminare né
opporsi che essendo più giovani nell'evoluzione hanno ancora verde
la loro eredità. Ma è lecito prima della proposta chiedersi come
sia finita la nostra eredità. Nella celebre operetta leopardiana del
folletto e dello gnomo, i due, folletto e gnomo, incontrandosi si
chiedono dove sia finito l'uomo e come. E la risposta è: quali
procurandosi terribili catastrofi, quali facendosi la guerra, quali
avvelenandosi le acque e i cibi. È la nostra sorte attuale. La
vocazione all'autodistruzione sembra compiersi mentre guardiamo
sempre con ebete stupore la volontà di vita e di sopravvivenza di
altri popoli. L'eredità è andata lentamente consumandosi
dall'avvento del denaro. Ne La filosofia del denaro nel 1914,
Simmel profetizzava tale irreparabile perdita soprattutto come
avvento del lontano e smarrimento di ciò che è prossimo.
La
fascinazione di ciò che è lontano ha soppiantato la cura di ciò
che è vicino al cui contatto pur viviamo. I fiumi straripano ma noi
non curiamo né il letto né gli argini. Il terreno frana e ci
seppellisce eppure non ce ne preoccupiamo. Continuiamo a parlare di
paradisi fiscali ed a cumulare profitti. La perdita dei fini è
soprattutto evidente laddove le popolazioni incombenti in fuga dalle
loro città hanno un fine sia pure elementare, la sopravvivenza.
Simmel faceva una profezia che si è attuata. Due guerre mondiali nel
novecento ed incombente la terza per ora strisciante nel nuovo
secolo.
L'eredità
è perduta. L'orgoglio di Namo di Baviera che conduce
l'ambasciatore saraceno Balante ad ammirare la nostra cortesia, la
virtù per eccellenza cavalleresca è del tutto aliena dal nostro
modo di vivere. Ed allora?
Passiamo
alla proposta. Riconquistiamo la memoria, la facoltà perduta
insieme al prossimo, ai fini. Rifondiamo università che propongano
la storia e le storie, la storia globale e le microstorie, quelle di
ogni singolo territorio. E questo è un appello, più che una
proposta.
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