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La storia del comprensorio di #Temesa nel volume di Armando Orlando

"Luoghi prossimi che avvalorano l’ipotesi dell’unicità del territorio temesano e che non escludono, anzi corroborano, l’ipotesi che l’area d’influenza di Temesa fosse ancor più ampia, spingendosi sul litorale fino ad Amantea e più in alto, oltre Aiello, fino a Monte Santa Lucerna, un’altura [...] come una miniera di leggende e di storie ignote ed inesplorate".





Dopo la versione digitale che aveva per titolo "Cleta e Polite" (vedi post precedente qui) - predisposto per conto del Club Unesco di Cleto nell'ambito di un progetto per le scuole locali - ecco il volume di Armando Orlando, più ampio in carta e inchiostro, "Campora San Giovanni, Serra D'Aiello, Aiello Calabro, Cleto e Savuto", in libreria in questi giorni.. 

Qui di seguito, la prefazione di Armido Cario 
«Narrare l’accaduto, fornire le basi su cui costruire, indagare la memoria, cercare un’identità»: sono queste le ragioni della ricerca, condotta da Armando Orlando, storiografo autorevole e prolifico che ha consacrato la sua passione ed il suo rigoroso studio alla Calabria ed alle sue molteplici, caleidoscopiche microstorie. Orlando che, nel recente passato, ha inaugurato diverse collane editoriali dedicate alla storia ed all’antropologia, realizza la prima opera tematica ed organica sul territorio, compreso tra i fiumi Oliva e Savuto. Già nel 2013, sposando questo avanzato filone, si era cimentato in una complessa esplorazione storica, dedicata alle comunità di «Donne e uomini vissuti lungo le opposte sponde del fiume Savuto… con un destino comune condiviso», culminata nell’opera Cleto, Savuto, San Mango d’Aquino. 
La presente indagine, condotta col consueto rigore metodologico e con onestà intellettuale, integra ed arricchisce il quadro della conoscenza, implementando ed impreziosendo la già ricca produzione di Orlando. Produzione che rappresenta un’autentica “biblioteca di studi calabri”, un corpus scientifico di tutto rispetto, attestato dall’autorevolezza dei titoli, oltre che dalla complessità e varietà dei temi.
L’area geografica, presa in esame da Orlando, comprende un ventaglio di nuclei abitati, differenti per origine e posizione. Cleto affonda le radici nel mito fondativo dell’amazzone Cleta: la polis magnogreca, distrutta dai Crotonesi, risorge nel Medioevo intorno all’impervia rocca di Pietramala. Savuto si sviluppa intorno al castello angioino, eretto a difesa delle vie di comunicazione. Aiello, autentico baricentro, imponente fortezza che, dal medioevo in avanti, imporrà l’egemonia politica sul territorio e sugli abitati circostanti. Serra, frequentata fin dall’antichità e ripopolata da gruppi di albanesi della diaspora, giunti in Calabria dapprima come truppe di supporto all’esercito aragonese ed, in seguito, come coloni. Infine Campora, ricca di sottosuolo archeologico al pari di Serra, sorta tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, in principio come raggruppamento di insediamenti rurali, successivamente quale nucleo abitato, che ha tratto impulso e sviluppo dalla ferrovia tirrenica nonché dalla migrazione interna, proveniente dai paesi limitrofi.
I centri in questione, nei secoli, hanno mutato denominazione, dominazione ed appartenenza: con l’Unità d’Italia, Pietramala ha assunto il nome di Cleto; nella stessa circostanza, Savuto ha perso l’antica autonomia ed è stata incorporata nel nuovo municipio; Aiello è divenuto Aiello di Calabria, trasformandosi nel 1928 in Aiello Calabro ed assorbendo Cleto e Serra, che riotterranno l’autonomia rispettivamente nel 1934 e nel 1937; Campora, i cui territori erano suddivisi tra i comuni di Amantea, Aiello Calabro e Nocera Terinese, diviene frazione di Amantea. E così, i legami civili ed amministrativi s’interrompono, modificando le geografie ma le relazioni tra persone e luoghi s’intensificano. Relazioni che rappresentano un fatto naturale, ancor prima che un dato storico e che si sedimentano nel patrimonio della memoria.
Relazioni testimoniate dalle vestigia di antichità, insistenti nelle terre ricomprese tra l’Oliva ed il Savuto, che attestano l’esistenza di una civiltà ultramillenaria, aperta allo scambio culturale e persino alla contaminazione. Dopo l’intensa e severa conflittualità tra Greci e popolazioni indigene, si è infatti giunti ad una sorta di “osmosi culturale”: «il lungo processo di etnogenesi e di trasformazione delle genti italiche, con la loro progressiva infiltrazione nel popolamento dell’Italia centro–meridionale, portò la componente non greca nel corso del V secolo a.C. a realizzare un’organizzazione territoriale e politico–militare stabile e strutturata» . Il fenomeno riguardò la Magna Grecia nella sua interezza, laddove «insieme allo scontro di natura etnica tra città greche e popolazioni indigene vanno considerati anche i rapporti tra le classi e le solidarietà tra Greci e non Greci che si realizzano trasversalmente» . Un’integrazione tangibile ancor più nella Calabria brettia, stanti le attestazioni di bilinguismo, con l’uso “indifferente” del greco e dell’idioma italiota in circostanze ed atti di rilevanza pubblica come l’epigrafe funeraria di Torano, alcuni bolli laterizi, le formule eponimiche sacerdotali da Petelia .
Temesa, che la gran parte degli archeologi situa tra le sponde dell’Oliva e del Savuto e, quindi, nella microregione esaminata da Orlando, non fu estranea a questo processo di integrazione e commistione culturale. Strabone, geografo e storico vissuto tra i secoli I a.C. e I d.C., fa riferimento ad una fondazione ausone di Temesa e ad una sua successiva occupazione da parte degli Etoli condotti da Toante, reduci dalla guerra di Troia. Il passo di Strabone, dunque, contiene un evidente richiamo alla conflittualità, ad una città indigena in rapporti non pacifici con genti di stirpe greca . Tuttavia, il processo di trasformazione sociale e storica, interno all’organizzazione dei popoli italici, portò ad un lento e graduale mutamento nei rapporti di forza, anticipato dall’inevitabile contatto con i Greci . Ipotesi di coabitazione che, come detto, va presa in seria ed opportuna considerazione, se si vagliano alcune evidenze empiriche, quali la sepoltura, affiorata in quel di Campora, che presenta elementi architettonici indigeni misti a corredi greci.
Elementi, questi, di un territorio “parlante”, sia sotto il profilo archeologico che storico. Parlanti come i pianori di Serra d’Aiello, percorsi a piedi sotto la guida di Salvatore Perri, fedele interprete dello spirito del luogo e dell’invisibile genius loci. Quello di Serra, oltre ad essere un cammino materiale, è un percorso ideale, emblematico, paradigmatico. Lasciandoci alle spalle l’abitato moderno, si attraversa la località Chiane dove è stata scoperta la necropoli antica per giungere sullo sterminato Cozzo Piano Grande, ove affiorano sostanziali presenze temesane. Poi giù, lungo la via sterrata che conduce ad Imbelli, sul cui sentiero si rinvengono frammenti di tegole e píthoi. Giunti nell’area sacra, lo sguardo si spinge fino alla linea di costa. Virando a settentrione, l’occhio si posa sulla località Carbonara, territorio da esplorare ai fini della ricerca mineraria, tanto importante per la storia di Temesa e su Conocchia, in agro di San Pietro in Amantea, dove sensibili sono le testimonianze romane. Luoghi prossimi che avvalorano l’ipotesi dell’unicità del territorio temesano e che non escludono, anzi corroborano, l’ipotesi che l’area d’influenza di Temesa fosse ancor più ampia, spingendosi sul litorale fino ad Amantea e più in alto, oltre Aiello, fino a Monte Santa Lucerna, un’altura presentata dallo studioso Bruno Pino come una miniera di leggende e di storie ignote ed inesplorate.
Esercizi di scoperta che rafforzano il senso ed il valore della memoria, che non è un semplice coacervo di informazioni ma, anzitutto, un atto umano. «La memoria di un popolo – scrive Marco Valle – è il risultato di innumerevoli minuscole memorie, di una miriade infinita di carte, appunti, documenti, racconti». In altri termini, «un patrimonio immenso di conoscenze, esperienze, sentimenti, che, attraversando il passato, si trasmettono di padre in figlio, da generazione a generazione» .
La storia va, perciò, studiata ed appresa come un’intera narrazione, non in modo frammentario o isolando le realtà dal contesto. In questo, la memoria risulta cruciale, fondamentale nel fornire un’impalcatura, un quadro generale, un’architettura a vicende particolari, come quelle trattate da Orlando, che ha il pregio e la capacità concettuale di proiettare la diversità calabra nel panorama nazionale ed internazionale. E lo fa concentrandosi sulla cosiddetta longue durée, sui processi storici, sulle strutture politiche ed economiche che hanno connotato e distinguono l’organizzazione sociale in Calabria. In linea con l’approccio delle Annales, è privilegiato l’intreccio e l’utile correlazione tra le scienze sociali, ben diversa dalla storia evenemenziale, strettamente ancorata alle vicende politiche e militari e circoscritta alla registrazione degli accadimenti. Il principio di fondo è che le strutture sociali e di governo del passato incidano ed abbiano un decisivo impatto sul presente. L’obiettivo è, di conseguenza, l’adeguata conoscenza dell’oggi mediante lo studio evolutivo e la comprensione degli assetti di ieri.
Analisi ancor più efficace nel caso di specie, che abbraccia un territorio composito, per molti secoli riunito sotto un unico dominio feudale, se si pensa al vasto e potente Stato di Aiello. Un territorio, quindi, con un’identità profondamente condivisa, abitato da genti che hanno vissuto e si sono nutrite d’incontro e di socialità. Un’unione cementata da secoli di relazioni solidali, parentali ed economiche. Dopo tutto, come scrive Riccardi, «le realtà e le identità durano nel tempo, anche se cambiano aspetto esteriore» . E la storia, per Orlando, è proprio quella “scienza degli uomini, nel tempo” descritta da Marc Bloch: «Scrivere di storia vuol dire studiare se stessi, capire le ragioni del proprio presente partendo dalla ricostruzione dei fatti» perché “il tempo è un divenire”.
La storia, quindi, non offre “facili profezie” sul futuro ma consente di cogliere “lo spessore di sé e dell’altro”. L’indagine storica, da sola, non può offrirci “un’esperienza totale dell’umanità” ma va collegata alle tendenze, riscontrate dalle altre discipline. Non è esaustiva e sufficiente, infatti, la mera raccolta e classificazione dei materiali: occorre “interrogarli”, spingendoli a rivelare l’invisibile ed il substrato. Per questo, Orlando studia, approfondisce ed interpreta le strutture fondamentali delle comunità, rilevando le trasformazioni sociali ed economiche nel corso dei secoli, rimarcando gli aspetti istituzionali, antropologici e culturali. Il risultato è una profonda comprensione del presente attraverso la conoscenza del passato, un’identità consegnata soprattutto ai giovani: sono loro, infatti, «ad avere in mano le chiavi che aprono le porte dei giorni che verranno». 
Armido Cario

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