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Il re è vestito. Ancora una riflessione sulla scuola

Carmelina Sicari
Troppo vestito, direi. A giudicare dal numero di interventi, dal processo di rinnovamento totale proposto e promesso, dall'ira che ha suscitato nel mondo della scuola sì da promuovere una manifestazione corale di dissenso, il re, ossia il potere ha indossato troppi vestiti, ma di carta che subito sono stati stracciati e rovinati sì da farlo apparire di nuovo nudo. Nella fiaba dei vestiti nuovi dell'imperatore un bimbo vede e denuncia la sua nudità. Qui tutto un popolo e vox populi...
Ma al di là della metafora alcune riflessioni serie. Innanzitutto il fatto che la riforma della scuola presuppone una filosofia ed una pedagogia, cioè non può nascere dal nulla perchè altrimenti al nulla ritorna.
Sul Messaggero del 6 maggio è apparso un intervento a cura di Giuliano Da Empoli, un economista che appartiene ad un'illustre famiglia di economisti tradizionalmente riformisti. Nell'articolo si esaltano le riforme. Ma c'è un equivoco. Di riforme il re è tutto coperto come dicevamo. Il problema delle riforme non deve divenire un tabù contrario. Non è la prima volta che la scuola non ferma le riforme ma ne indica il limite e invita a rivedere tutto.
La scuola deve occuparsi di formazione civile ed umana e se è possibile di lavoro ma non trasformarsi in qualcosa di diverso dal suo mandato primario. Non riforme tecniche dunque affidate a tecnici ma riforme profonde che si adeguino alla profonda mutazione in atto.
Ci sembra comica la figura della maestrina dalla penna rossa del Cuore ma le maestrine hanno svolto nell'Italia postunitaria un ruolo altissimo di civilizzazione. Nella nuova barbarie occorre organizzare qualcosa di simile e di diverso prima che la barbarie stessa ci ingoi. Occorre la passione del muovo, del rinnovamento ma anche quella della tradizione, del passato unite insieme.
Lo scriba, dice un testo, che pensa al regno, unisce cose vecchie e nuove.


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