5 maggio 2015
Il
Ministro dell'Istruzione, che una volta era giustamente ed
opportunamente Ministro della Pubblica Istruzione, non conosce la
scuola e non conosce la storia. Non sa, per esempio, che quando una
volta alla fine dell'anno scolastico c'era la "qualifica degli
insegnanti", cioè la valutazione che il Direttore Didattico,
nella scuola elementare, oggi "primaria”, attribuiva ai suoi
insegnanti, davanti casa sua c'era una lunga fila di insegnanti con
in mano "costosi" regali in attesa di entrare per ricevere
la sospirata "qualifica"di “ottimo”. Certamente la
Legge non prevedeva né permetteva simile pratica, ma era così. Ed
era così, perché siamo uomini ed, in quanto uomini, sbagliamo e
siamo "peccatori". E quei direttori didattici, nonostante
le loro debolezze, ambizioni eccetera, anche per l'indirizzo degli
studi specifici seguito, erano intellettualmente, a parte le dovute
eccezioni, fior di professionisti, conoscevano la pedagogia e la
psicologia, le dinamiche del processo di crescita degli alunni,
entravano nelle aule scolastiche e sapevano perfettamente quanto una
classe lavorasse e quale livello d'istruzione avesse raggiunto almeno
complessivamente. Il fatto che riferisco è il racconto di uno dei
tanti maestri elementari che non si piegavano a questa logica
“clientelare”, ed erano tanti e lodevoli, ma che magari “pagavano
a caro prezzo” questo loro atteggiamento dignitoso. Gli altri erano
costretti a piegarsi per i più disparati motivi, tra cui certamente
lo stato di bisogno.
Il
Dirigente Scolastico di oggi è il dirigente di un istituto che tende
ad avere, almeno nelle intenzioni dei ministri del nuovo millennio,
le caratteristiche dell'azienda e che dall'alto si pretende che sia
sempre di più un'azienda. In quest'azienda si fanno degli
investimenti e, come in ogni azienda che si rispetti, bisogna "far
quadrare i conti" e poi "vendere il prodotto"
attraverso una buona pubblicità: fissare vari appuntamenti nell'arco
dell'anno scolastico, in cui, in pubbliche manifestazioni, vengono
fatti esibire gli alunni, davanti a genitori compiaciuti, ad Autorità
di rito e a cittadini curiosi, in performance finalizzate
all'esposizione del "prodotto" umano, per dimostrare che
quella scuola funziona. Anche così quella scuola fa concorrenza
all'altra scuola e cerca di avere più iscritti dell'altra per l'anno
successivo, anche perché così si hanno più finanziamenti, più
progetti e più soldi. Ma il Dirigente di questo tipo di scuola
dedica quasi tutto il suo tempo ai conti, ai finanziamenti, alle
operazioni di facciata, che sono quelle che procurano il "buon
nome" alla sua scuola. Poco però sa, tranne le dovute eccezioni
di fronte alle quali bisogna togliersi il cappello, degli alunni,
delle problematiche presenti nelle classi e di tutto quello che
significa crescita cognitiva e formativa degli studenti. Se poi il
docente ha dei problemi con alunni e famiglie, è un fatto che deve
sbrigarsi il docente stesso; ove vi sia coinvolto il Dirigente
(badate, non il Preside; il preside era un'altra cosa), questo cura
le public relations e si guarda bene dal "guastarsela con i
genitori" e con gli alunni-clienti. A tali dirigenti la Legge
sulla Buona Scuola (la chiamano "beffardamente" Riforma, e
non solo oggi) affida il compito di scegliere i docenti per i figli
di quei genitori. Ma questi dirigenti non hanno il tempo né le
competenze, a parte il rispetto che si deve sempre a qualcuno, per
interessarsi delle classi e dei processi evolutivi. Questi
"padroncini", pur con le migliori intenzioni di questo
mondo, faranno in gran parte un disastro, perché non sono direttori
didattici né presidi, non ne hanno le funzioni e non possono
dedicarvisi, in quanto costretti a fare altre cose. Guideranno con
logica aziendalistica la scuola-azienda, che poi non è un’azienda
vera, abbassando pericolosamente la qualità della scuola pubblica, e
la faranno deragliare come un treno in folle corsa. Metteranno i
docenti l’uno contro l’altro in una competizione sleale che non
punterà alla qualità della loro lezione ed all’impegno degli
studenti, ma al “farsi volere bene” da tal dirigente e da tali
genitori, con il risultato negativo di avere docenti scarsamente
motivati verso il loro delicato lavoro, oserei dire verso la loro
delicata ed insostituibile missione.
Ovviamente
la colpa di tutto questo disastro non è da imputare soltanto a tali
dirigenti, ma all’impianto complessivo della scuola che viene
dettato dall’alto, dove si è voluto e si vuole imporre, non
soltanto oggi, la logica dell’azienda in un organismo in cui la
logica dell’azienda non si può applicare. Questa si può applicare
soltanto dove si può misurare il numero dei bulloni che si avvitano
in un giorno, il numero dei pezzi di ferro che si tagliano, con la
dovuta cautela il numero delle pratiche d’ufficio che si sbrigano
in un giorno; mai nella scuola, dove le operazioni non sono manuali e
si lavora sull’animo e sul cervello di giovani da informare, ma
soprattutto da formare, in tempi e modi che dipendono da una miriade
di condizioni oggettive e soggettive di ogni singolo alunno e del
mondo, anche psichico, che gli gira intorno, oltre che dal docente,
condizioni che sono fattori non misurabili del processo cognitivo e
formativo. Allora, di fronte all’insuccesso di questo tipo di
scuola-azienda, i cittadini più facoltosi busseranno ad una di
quelle poche scuole private di eccellenza; non a tutte le scuole
private, badate!, che sono sempre state e continuano ad essere
diplomifici. Già lo erano negli anni Cinquanta e Sessanta del
Novecento, quando i “figli di papà” che avevano l’insuccesso
nella scuola pubblica, che era sempre di qualità, si iscrivevano a
queste scuole che assicuravano la promozione facile.
In
questo modo, snaturando la scuola pubblica, si torna alla “scuola
di classe”, quella a cui i “figli del popolo” non potevano
accedere ieri e non potranno accedere domani. Per loro ieri c’era
l’analfabetismo, oggi si prospetta una falsa istruzione, che non li
qualifica per gli obiettivi elevati, per le alte sfere
dell’intellettualità e dei corrispondenti impieghi remunerativi
sia in termini economici che in termini di soddisfazione morale, ma
li spinge e costringe verso il basso in mansioni di basso livello,
poco soddisfacenti moralmente ed economicamente.
Questo
accade sotto i nostri occhi increduli ed impreparati agli eventi,
dopo le tante battaglie politiche, sociali ed ideali del secolo
scorso per una scuola libera, di qualità, aperta a tutti ed eguale
per tutti, dove l’impegno ed il merito erano occasione di progresso
e di riscatto ed in cui anche le “condizioni di partenza” e le
“difficoltà ambientali”, correlate al tipo ed al grado di scuola
frequentata, facevano parte della “valutazione” degli alunni in
termini di maggiore o minore merito.
Ora,
chi avrebbe immaginato che in Italia saremmo arrivati a questo punto
di disfacimento della funzione educativa e cognitiva della scuola? A
questo ci hanno portato gli anni di rivoluzione, pardon!,
d’involuzione della politica scolastica dagli ultimi anni del
Novecento ad oggi. E allora, se si vuole evitare di tornare alla
pratica di certi sistemi di asservimento dei docenti che qualche
“cattivo dirigente” potrebbe instaurare, con le conseguenze che
abbiamo cercato di delineare, lo sciopero di oggi non è solo lo
sciopero degli insegnanti, ma deve essere lo sciopero di tutti coloro
che hanno a cuore il futuro delle giovani generazioni ed i destini
della Nazione.
Ovviamente queste sono alcune delle considerazioni che si possono fare brevemente sulla tanto conclamata e declamata “Riforma della scuola” e non hanno la pretesa di essere esaurienti rispetto all’argomento in discussione.
Ovviamente queste sono alcune delle considerazioni che si possono fare brevemente sulla tanto conclamata e declamata “Riforma della scuola” e non hanno la pretesa di essere esaurienti rispetto all’argomento in discussione.
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