di Patrizia Gentilini - febbraio 2014
Fonte: Ecoblog
Nel 1971 il Presidente
Nixon firmò il National Cancer Act, un ambizioso progetto con cui si delineava la strategia della “guerra al cancro”, guerra che gli Stati Uniti
erano decisi a combattere ed ovviamente a vincere .Erano gli anni in cui l’uomo
era arrivato sulla luna , la fiducia nelle potenzialità della scienza era
pressoché illimitata e sembrava che con poderosi finanziamenti ogni traguardo
potesse essere raggiunto. Erano anche gli anni in cui prendeva corpo l’idea che
il cancro fosse una malattia “genetica” e che nascesse da una singola cellula
in qualche modo “impazzita”.
Si pensava che per un “incidente genetico” casuale avvenissero una serie di mutazioni a carico del DNA tali da comportare una proliferazione incontrollata ed una sorta di “immortalizzazione” delle cellule figlie.
Si pensava che per un “incidente genetico” casuale avvenissero una serie di mutazioni a carico del DNA tali da comportare una proliferazione incontrollata ed una sorta di “immortalizzazione” delle cellule figlie.
L’idea era quindi che una
sorta di selezione darwiniana conferisse vantaggi in termini di sopravvivenza e
capacità di metastatizzare alle cellule figlie via via sempre più aggressive e
maligne rispetto a quelle di origine con un processo irreversibile che portava
infine a morte l’organismo ospite.
Il cancro era ritenuto una malattia dell’età adulta in cui, proprio per l’aumento della speranza di vita, era sempre più probabile che insorgessero mutazioni casuali: in qualche modo il cancro era visto quasi come un prezzo da pagare al nostro modo di vita ed in definitiva allo sviluppo.
Se l’origine del cancro risiedeva in un danno a carico del DNA era logico quindi pensare di risolvere il problema cercando di svelare tutti i segreti del genoma e sperimentare terapie che colpissero la cellula nel suo centro vitale, il DNA appunto.
Il cancro era ritenuto una malattia dell’età adulta in cui, proprio per l’aumento della speranza di vita, era sempre più probabile che insorgessero mutazioni casuali: in qualche modo il cancro era visto quasi come un prezzo da pagare al nostro modo di vita ed in definitiva allo sviluppo.
Se l’origine del cancro risiedeva in un danno a carico del DNA era logico quindi pensare di risolvere il problema cercando di svelare tutti i segreti del genoma e sperimentare terapie che colpissero la cellula nel suo centro vitale, il DNA appunto.
Gli investimenti che furono
fatti negli USA ed in seguito anche in altri paesi del mondo occidentale furono
a dir poco esorbitanti, ma, come ha scritto nel 2005 in una esemplare lettera
aperta un grande oncologo americano S. Epstein, “dopo trent’anni di
reclamizzate ed ingannevoli promesse di successi, la triste realtà è infine
affiorata: stiamo infatti perdendo la guerra al cancro, in un modo che può essere
soltanto descritto come una sconfitta. L’incidenza dei tumori – in particolare
della mammella, dei testicoli, della tiroide, nonché i mielomi e i linfomi, in
particolare nei bambini – che non possono essere messi in relazione con il fumo
di sigaretta, hanno raggiunto proporzioni epidemiche, ora evidenti in un uomo
su due e in oltre una donna su tre”.
Queste che sembravano pessimistiche considerazioni di qualche medico isolato hanno in realtà trovato autorevoli conferme in un articolo dall’emblematico titolo “Ripensare la guerra al cancro” comparso a dicembre 2013 nella prestigiosa rivista Lancet (www.thelancet.com). Perché l’obiettivo non è stato raggiunto? Dove abbiamo sbagliato?
Queste che sembravano pessimistiche considerazioni di qualche medico isolato hanno in realtà trovato autorevoli conferme in un articolo dall’emblematico titolo “Ripensare la guerra al cancro” comparso a dicembre 2013 nella prestigiosa rivista Lancet (www.thelancet.com). Perché l’obiettivo non è stato raggiunto? Dove abbiamo sbagliato?
Evidentemente concentrare
tutte le risorse sulla ricerca di terapie, bene e spesso rivelatesi inefficaci
o sulla diagnosi precoce non è stata la strada vincente.
In effetti nuove emergenti teorie sulle modalità con cui il nostro genoma si relaziona con l’ambiente ci fanno capire come anche la nostra visione del problema cancro – e non solo- sia stata estremamente riduttiva e di come quindi dobbiamo radicalmente cambiare il nostro punto di vista se solo vogliamo sperare di uscire da questo empasse.
In effetti nuove emergenti teorie sulle modalità con cui il nostro genoma si relaziona con l’ambiente ci fanno capire come anche la nostra visione del problema cancro – e non solo- sia stata estremamente riduttiva e di come quindi dobbiamo radicalmente cambiare il nostro punto di vista se solo vogliamo sperare di uscire da questo empasse.
Si è sempre pensato al
genoma come a qualcosa di predestinato ed immutabile, ma le conoscenze che da
oltre un decennio provengono dall’epigenetica ci dicono che le cose non stanno
così. Il genoma è qualcosa che continuamente si modella e si adatta a seconda
dei segnali - fisici, chimici, biologici - con cui entra in contatto. Come una
orchestra deve interpretare uno spartito musicale facendo suonare ad ogni
musicante il proprio strumento, così l’informazione contenuta nel DNA viene
continuamente trascritta attraverso meccanismi biochimici che comprendono
metilazione, micro RNA, assetto istonico che vanno appunto sotto il nome di
epigenoma. L’epigenetica ci ha svelato che è l’ambiente che “modella” ciò che
siamo, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia….
L’origine del cancro non risiede quindi solo in una mutazione casualmente insorta nel DNA di una qualche nostra cellula, ma anche in centinaia di migliaia di modificazioni epigenetiche indotte dalla miriade di agenti fisici e sostanze chimiche tossiche e pericolose con cui veniamo in contatto ancor prima di nascere e che alla fine finiscono per danneggiare in modo irreversibile lo stesso DNA.
L’origine del cancro non risiede quindi solo in una mutazione casualmente insorta nel DNA di una qualche nostra cellula, ma anche in centinaia di migliaia di modificazioni epigenetiche indotte dalla miriade di agenti fisici e sostanze chimiche tossiche e pericolose con cui veniamo in contatto ancor prima di nascere e che alla fine finiscono per danneggiare in modo irreversibile lo stesso DNA.
L’articolo di Lancet
sostiene che per vincere la guerra contro il cancro abbiamo bisogno di una
nuova e diversa visione del campo di battaglia: per coloro che da decenni si
battono per una riduzione dell’esposizione delle popolazioni agli agenti
inquinanti e cancerogeni questa nuova visione del problema ha un unico nome:
Prevenzione Primaria che non può essere ridotta solo alle indicazioni
riguardanti gli “stili di vita”, ma che deve intervenire energicamente sulla
tutela degli ambienti di vita e di lavoro, come ci indicano drammaticamente
anche i dati recenti della cronaca italiana!
Leggi anche:
http://brunopino.blogspot.it/2013/12/il-registro-tumori-della-calabria-lo.html#more
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Si deve per forza fare qualcosa è inpensabile che i nostri medici ricercatori vivano solo di sperimenti su animali x salvare la vita umana.....ci sarà pure una cura medica!!!!! allora cerchiamola.....
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