Il marinaio - che insieme ad un altro calabrese, Angelo Manetti, prese parte alle spedizioni colombiane - è da considerarsi il primo emigrato in assoluto in terra d'America.
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Fu il primo calabrese a
varcare l’Oceano e a mettere piede sul quel Nuovo Mondo in cui, nei secoli
successivi tanti suoi conterranei lo avrebbero seguito. Si chiamava Anton
Calabrés (1), marinaio, l’uomo che assieme ad altri seguì Cristoforo Colombo
nel primo viaggio alla scoperta del Nuovo Mondo a bordo della Pinta. Di lui si
sa poco o niente e fino ad ora il suo nome è passato inosservato, nascosto fra
le pieghe della storia, dimenticato fra le pagine dei documenti dell’epoca,
confuso fra quelli dei tanti che parteciparono a quell’impresa, più di 500 anni
fa. Solo nel 1982 il nome di Anton Calabrés venne strappato per un attimo alle
nebbie della dimenticanza quando Antonio Quinto Pisano, all'epoca consigliere
comunale di Soverato, propose ed ottenne di dedicare una strada al misterioso
navigatore, del quale aveva trovato menzione in antichi testi marinari. Poi più
nulla! Ma chi era e da dove veniva Anton Calabrés(2)?
Su quest'ultimo punto le nostre ricerche ci portano a formulare l'ipotesi che
sia di Amantea, antico centro demaniale marinaro (3) il cui porto, nel XV
secolo, era il più attivo della costa tirrenica della Calabria
centro-settentrionale e l'unico capace di ospitare imbarcazioni molto pesanti
(4). Inoltre, si è potuto riscontrare che in Amantea - dove peraltro la
presenza genovese a quel tempo era molto intensa(5)- esiste una tradizione
orale, in particolare tra gli abitanti più anziani del centro storico, che
parla di un'antica commemorazione che si svolse in onore del marinaio amanteano
il quale seguì Colombo nel primo viaggio di scoperta del nuovo continente e di
lì a poco venne costruita, nella zona vecchia, una chiesetta denominata della
Pinta (6). E proprio nella zona più antica di Amantea esiste un vico la
Pinta(7) e una fontanella del '500 detta della Pinta(8). Vi
sono però pareri discordanti sulla figura e sulle origini di Anton Calabrés.
Secondo lo studioso Gianni Aiello le origini natie del marinaio calabrese di
Colombo “potrebbero ricollegarsi in quel di Seminara, lo stesso luogo da dove
proveniva Giovanni Calabrese, luogotenente di Carlo V e che guidò l'assedio di
Tunisi”(9). Per Bruno Aloi, membro del “Comitato Nazionale per Colombo” di
Genova, si tratterebbe invece di “Antonio Calabrese di Cirò, quando il paese si
chiamava Ypskron”.
Di Calabrés, come
dicevamo, si sa poco o niente. Il suo nome, infatti, compare per la prima volta
proprio nei documenti riguardanti il primo viaggio di Colombo attraverso
l’Oceano. Prima di quell’impresa di lui non si hanno notizie, né si sa di suoi
precedenti viaggi per mare, il suo nome indica una sicura origine calabrese
(10), ma nulla sappiamo della sua famiglia nè di suoi eventuali discendenti.
Anton Calabrés, dunque, entrò a far parte dell’equipaggio di Cristoforo Colombo
nel luglio del 1492, assieme ad altri due italiani: il genovese Jacome el Rico
ed il veneziano Juan Veçano. Per il resto l’equipaggio (90 persone
complessivamente) era formato per la quasi totalità da spagnoli (84), ad
eccezione del portoghese Juan Arias e del negro delle Canarie Juan Portugues.
Non era stato facile reclutare gli uomini. La storiografia ufficiale dice che
nessuno, nemmeno i più audaci o i più disperati, erano disposti a rischiare la
vita in un’impresa che Juan Rodriguez de Mafra aveva definito “cosa vana e
stolta”, profetizzando per gli sventurati che vi avessero preso parte “pericoli
orribili”. Quando già Colombo era riuscito ad ottenere le tre navi (due
caravelle, la Pinta di Gomez Rascon e Christobal Quintero e la Nina di Juan
Nino, ed una caracca, La Gallega del biscaglino Juan de la Cosa, poi
ribattezzata Santa Maria) solo quattro uomini, condannati alla pena capitale e
ricercati dalle guardie, avevano chiesto di essere arruolati. I sovrani don
Ferdinando e Isabella, infatti, per facilitare l’allestimento della spedizione,
avevano promesso di accordare la grazia più ampia a quanti, già colpiti da pena
di carcere o di morte, si fossero arruolati negli equipaggi colombiani. Così
Alonso Clavijo di Vejer, Juan de Moguer e Bartolomè Torres di Palos e Pedro
Yzquierdo di Lepe chiesero di essere ammessi all’equipaggio. Il Torres aveva
ucciso, nel novembre del 1491, un certo Juan Martìn, banditore di Palos, forse
per una questione di donne. Imprigionato e condannato a morte, era evaso dalla
piccola e incustodita prigione locale, grazie all’aiuto di tre suoi amici.
Datisi alla macchia, i quattro erano riusciti fino a quel momento a farla
franca e forse non avremmo mai saputo nulla di loro se la notizia della
possibile grazia non li avesse spinti ad entrare nell’equipaggio di Cristoforo
Colombo e nella storia. Ma per convincere gli altri ci voleva il carisma di un
uomo di mare conosciuto e stimato da tutti. Padre Marchena, fedele sostenitore
ed alleato di Colombo, pensò allora di coinvolgere nell’impresa Martin Alonso
Pinzon, pilota e capitano di mare, navigatore esperto e ricco proprietario di
una nave con la quale aveva partecipato alla campagna contro i portoghesi e si
era recato anche a Roma, dove aveva potuto consultare negli archivi vaticani
alcune carte nautiche che avallavano sorprendentemente le ipotesi di Colombo.
Quando incontra Colombo, Pinzon ha cinquant'anni ed ha navigato tutto quello
che c’era allora di navigabile. Gli bastano poche battute per comprendere di
trovarsi di fronte ad un uomo esperto di problemi marinari e dotato della luce
del genio. Accetta di prendere parte all’impresa come comandante della Pinta ed
annette subito anche suo fratello,Vicente Yanez, che sarà messo al comando
della Nina. A quel punto, spinti dal carisma e dall’esperienza dei Pinzon,
furono in molti, nel giro di qualche settimana, a sottoscrivere il contratto di
ingaggio. Fra di loro anche il nostro Anton Calabrés che probabilmente giunse
al porto nella tenuta tipica dei marinai, con il berretto rosso conico e la
cappa grigia. Per un anno, tanto è prevista la durata della navigazione,
riceverà come gli altri dodicimila maravedis ed ha diritto ogni giorno a circa
350 grammi di biscotto, ad un azcumbre divino ed a 250 grammi
di carne secca o di pesce. Assieme a lui, sulla stessa caravella, anche il
veneziano Juan Veçano.
Ma chi erano questi
uomini che per denaro o per avventura scelsero di affrontare uno dei misteri
più terribili ed inquietanti del tempo? E' ormai sfatata la leggenda secondo la
quale si trattava per la maggior parte di avanzi di galera. La studiosa
statunitense Alicia Bache Gould ha infatti provato che furono pochissimi i
delinquenti imbarcati, e precisamente i quattro spagnoli prima citati, una
percentuale decisamente trascurabile sul complesso dei tre equipaggi. Gli altri
esercitavano i mestieri più disparati: un chirurgo, un sarto, un argentiere, un
interprete, un paio di cortigiani e regi notai ed infine gli alguaciles,
incaricati delle provviste d’acque e con funzioni di sorveglianza e polizia a
bordo. Anton Calabrès, invece, era proprio un
marinaio, “marinero” come viene riportato anche nella Nuova Raccolta
Colombiana, probabilmente un navigatore esperto che aveva già preso parte ad
altri viaggi ed esplorazioni e che venne imbarcato fra i 26 uomini della Pinta
(la “Dipinta”), la nave più veloce, quella che all’alba del 12 ottobre arriverà
per prima in vista delle verdi coste di San Salvador. All’alba di venerdì 3
agosto 1492 la Nina, la Pinta e la Santa Maria salparono dal porto di Palos.
Circa 3 mesi prima Colombo era stato nominato Almirante Major di Mare Oceano,
viceré e governatore di tutte le nuove terre scoperte ed avente diritto ad un
decimo delle rendite di quelle terre. Il 12 ottobre dello stesso anno sbarcò
sulle coste di un’isola che i nativi chiamavano Gunahani e che fu in seguito
identificata con Watling, dell’arcipelago delle Bahamas. Segui la scoperta di
altre isole minori e di quella che Colombo chiamò Juana, l’attuale Cuba, lungo
le coste della quale navigò così a lungo senza vederne la fine da pensare che
potesse trattarsi di un continente. Era convinto di aver raggiunto l’Asia ma
non trovò traccia dei ricchi tesori che alcuni viaggiatori raccontavano di aver
trovato laggiù. Così Colombo venne a sapere dagli indigeni che verso levante
esisteva un’isola ricchissima che loro chiamavano Babeque. il 19 novembre
Colombo parti alla volta dell’isola meravigliosa, ma non poté raggiungerla a
causa di un'improvvisa tempesta. Così decise di tornare indietro. Ma la Pinta,
la nave su cui viaggiava Anton Calabrés, non segui le altre. Il comandante
Martin Alonso Pinzon decise infatti di fare nuovamente rotta verso i magnifici
tesori di Babeque. Che parte ebbe l’equipaggio in queste decisioni è difficile
a dirsi. Tutto, comunque, si risolse in una bolla di sapone quando Pinzon, senza
aver trovato i favoleggiati tesori, tornò a unirsi alla flotta, giustificando
la sua apparente diserzione come il risultato dell’errata comprensione di un
comando. Nel frattempo la Santa Maria aveva fatto naufragio, arenandosi su un
banco di corallo presso la baia di Cap Haitien. Fu allora che Colombo, persa la
sua imbarcazione più grande, chiese aiuto al cacicco indigeno Guacanagarì, che
mise a disposizione i suoi uomini per recuperare tutto il carico della Santa
Maria, gli strumenti di bordo, gli attrezzi, i materiali, le carte, i documenti
e gran parte dei viveri, che furono trasferiti a bordo della Nina. E' il giorno
di Natale del 1492. Colombo decide di costruire a quel punto un forte che
diventerà il primo insediamento europeo in America e si chiamerà la Navidad
(Natività). Nei sotterranei vengono sistemati viveri per un anno, le solite
merci di scambio e sementi per dare l’avvio ad una modesta attività agricola.
Ai coloni viene lasciata anche la lancia della Santa Maria con la quale
potranno esplorare la costa. Restarono alla Navidad 39 uomini agli ordini di
Diego de Arana (11) e fra di loro c'era anche Anton Calabrés (12) che divenne
così il primo italiano e il primo calabrese a stabilirsi sul nuovo continente.
Ricevute le assicurazioni del caso dal cacicco Guacangari, Colombo ripartì alla
volta dell’Europa il 2 gennaio 1493. Tornò alla Navidad dopo 11 mesi. In Spagna
la notizia della sua scoperta gli aveva procurato titoli e onori, ma
soprattutto l’appoggio necessario per allestire una flotta di 17 navi con la
quale riprendere di nuovo il mare e tornare nelle terre della grande avventura.
Quando il 28 Novembre giunse nuovamente alla Navidad, però, ai suoi occhi si
presentò uno spettacolo agghiacciante: le case e la fortezza erano state
bruciate e sulla spiaggia giacevano il cadavere di Anton Calabrés e dei suoi
compagni (13). Violenze e soprusi nei confronti dei nativi, causate soprattutto
da questioni di donne e dalla caccia forsennata ad improbabili tesori, avevano
segnato la loro breve permanenza nel nuovo mondo degenerando in un eccidio
finale che non aveva risparmiato nessuno degli europei.
E' tuttora
difficile definire come la tragedia si sia svolta. Ad uccidere quegli uomini si
pensa siano stati i caribi di Coanabò di fronte ad un atteggiamento neutrale
dei taino di Guacanagarì. Pur se nelle dichiarazioni del cacicco taino e dei
suoi vi erano chiari elementi di falsità e di lusinga per timore d'essere
pesantemente punito, l'Ammiraglio genovese preferì non imprigionare
Guacanagarì(14).
A Colombo non
restò altro da fare che riprendere il mare, lasciandosi alle spalle quello
scempio. Era il 7 dicembre del 1493.
NOTE
1)Calabrès
era il nomignolo che indicava la regione di provenienza.
2)Da poco
più di un decennio il nome di Calabrés viene ufficialmente menzionato nelle più
importanti pubblicazioni colombiane (Cfr. per tutti la collana Nuova Raccolta
Colombiana, Roma,Volume XVII, 1993, p.211).
3)Per dare
un esempio di quanto fosse strategicamente importante per la Corona la città di
Amantea riportiamo un privilegio di re Ferrante d'Aragona del 1496 che
stabiliva “...che niuno Rè potesse vendere, ò dare la predetta città, che
stia sotto vassallaggio, solo che sotto 'l dominio Reale; e s'alcuno Rè
pretendesse venderla, ò darla, che gl'Amanteoti spossini difendere coll'arme
senza incorrere in pena di ribellione...”.
4)Cfr.
Savaglio A., Il Regio Castello di Amantea, Rotary Club, Amantea,
2002, p.67. “Essendo sede di un porto, Amantea attirò entro le sue mura un
variegato stuolo di gente e di commercianti” (Ibidem, p.76). Difatti si
distinse come centro di commerci soprattutto della seta, che sul mercato di
Genova veniva preferita persino a quella proveniente dalla Spagna. “In
quest'approdo sicuro ed obbligato per le rotte del Tirreno, nel gennaio del
1460, giunse Antonello da Messina, proveniente quasi certamente per mare da un
imbarco vicino Roma”(Cfr. Segreti V., Storia e tradizioni marinare di
Amantea, Jason, Reggio Calabria, 1992, p.15). Il pittore siciliano e
Cristoforo Colombo -tuttora non se ne conoscono le ragioni- chiesero ambedue di
essere sepolti in sai monacali e furono raffigurati sulle banconote da 5.000
lire italiane.
5)La
presenza genovese in questo territorio era molto massiccia. Commercianti e
banchieri liguri spesso aiutati dal clero genovese, anch'esso fortemente
presente in in tutta la Calabria Citeriore, finivano per monopolizzare tutte le
risorse del territorio e già tra la fine del '400, e soprattutto nel '500,
molte famiglie genovesi (Adorno, Ravaschieri, Cybo, Pinelli...) finirono per
infeudarsi buona parte della Calabria centro-settentrionale e non solo.
6)Ringrazio
particolarmente la signora Caruso, abitante in via Indipendenza, che sul finire
degli anni '90 mi fornì informazioni utili su tale argomento.
7)”E' noto
per tradizione a tutt'Amantea che il palazzo del Vescovo poggiasse alle rupe
della Pinta, quartierino della parte più antica della città detta Catocastro, e
denominato anche oggi <> dalla chiesa cattedrale di S.
Maria <> . Sorgeva proprio sotto l'orto e casa Poncetta
rimpetto ai marchesi De Luca, tra il presente pubblico Oratorio degli stessi e
la chiesa parrocchiale del profeta S. Elia”(Cfr. Amantea (ragguagli
storici), in Rivista Storica Calabrese, anno III, 1895, p.322).
8)ASCS,
Notar Giò Angelo Muzzillo, 7 gennaio 1580, foll. 7 e 9 r. . Tra i monumenti di
Palos de la Frontera vi è un'antica fontana pubblica (Fontanilla) cui, secondo
la tradizione, i marinai di Colombo avrebbero attinto le provviste d'acqua per
le tre caravelle in partenza per l'America. Sempre nella cittadina andalusa è
presente un monumento in ricordo dei “Marinai della scoperta”, dove figura il
nome di “Anton Calabrés”. Secondo il colombista Vittorio Giunciuglio
“contrariamente a quanto convenuto con re Ferdinando e a quanto scritto nei
nostri libri di storia, le caravelle non salparono da Palos (paese situato sul
Rio Tinto a circa 5 km dalla foce) ma dalla barra di Saltes, località situata
alla foce del fiume. Guarda caso in quella località c'era l'imbarcadero della
Rabida, munito di una preziosa fontana, con la quale furono riempiti 150
barilotti d'acqua, forniti dai conventi francescani e non dai sovrani...ciò
avvalora ancor più la tesi che la grande Scoperta fu fatta per la Chiesa e non
per la Spagna, in quanto il convento era di proprietà del Vaticano e quindi
amministrato dal vescovo Geraldini, nunzio apostolico di Papa Innocenzo VIII in
Spagna”.
10)Anche
Giocchino da Fiore veniva chiamato da Colombo “l'abate Joahachin Calabrés”
(Cfr. per tutti Colombo C., Lettere ai reali di Spagna, Sellerio,
Palermo, 1992, p.73).
11)Cugino di
Beatrice de Arana, la compagna cordobese di Cristoforo.
12)Taviani
P.E., Cristoforo Colombo, suppl. a Famiglia Cristiana n.31,
Il Mulino, 2003, p.137. Oltre a Calabrés rimasero alla Navidad anche Pietro
Gutiérrez, Rodrigo de Escobedo, Luis de Torres, Juan de Medina, Diego Pérez,
Alonso Morales, Domingo Vizcaino, Jacome el Rico, i due chirurghi maestre Juan
e maestre Alfonso e il calafato Lope. Inoltre, Taviani
aggiunge che tra i 39 vi erano anche un cannoniere e un nostromo.
13)Undici
cadaveri ritrovati erano recenti: erano stati uccisi non prima di Settembre,
nove mesi dopo l'impianto della colonia. La morte di Calabrés potrebbe risalire
quindi a quel periodo.
14)Da
rilevare invece l'atteggiamento di Bernardo Boyl - primo missionario al seguito
dell'Ammiraglio - rispetto a tale vicenda: voleva che il cacicco taino fosse
messo in catene, idea condivisa anche da tutti gli altri. Che la condividessero
gli hidalgos e i marinai è comprensibile, ma che la sostenesse padre Boyl,
inviato a convertire gli indigeni, ci lascia alquanto perplessi.
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