"Chi prende un remo o l’albero maestro". Un componimento allegorico di F. Pedatella dell'Italia dei nostri giorni
di Franco Pedatella
Chi
prende un remo o l’albero maestro,
chi
a bella vela dà di piglio e strappa;
chi
la scaletta smonta che sul ponte
porta
e recarla in casa qual cimelio
di
augusta gloria vuole; chi da prora
d’ornato
intaglio il rostro seco porta.
Chi
col martello sfascia le giunture,
chi
con la sega taglia il ponte e il fianco;
chi
dalle stive infino alla coperta
batte,
dischioda e tutto fa tremare.
Ognun
la bella nave demolisce,
ognun
la scuote e quella par che soffra,
sentendosi
assaltata da ogni lato,
e
par si opponga, ma già fessa cede.
Uno
il timone ha torto e nelle secche
la
nave drizza a consegnarla all’oste
che
attende e mostra da lontano l’oro,
che
al sol riflette il raggio e disïoso
fa
il traditor d’illecito guadagno
e
pronto a vil commercio, a furto e dolo.
E
intanto geme il remator e il mozzo
che
il figlio ha sulla nave e la consorte
ed
ogni cosa e al legno avéa fidato
fin
il respir che in gola or gli si strozza.
Così
ruinò del Fiorentin la patria,
che
l’imo duol cantò e l’alta gloria
ed
ai concittadini fe’ da sferza,
ché
serva d’altri fêr l’Italia bella.
Ahi,
come simil è l’Italia d’oggi
a
quella in cui regnâro esterni regi,
corrotti
e corruttori di sue doti,
che
alloro e manto a lei da capo e dosso
levâr, lasciando ignude le vergogne
che
vuol coprir pudore in donna onesta!
Di
tutto or fan commercio i reggitori,
ogni
suo bene metton all’incanto
e
in mano a chi non sa di tal tesoro
buon
uso fare, tanto è grosso e inetto,
solo
rivolto al tintinnar dell’euro
e
sordo ad opra d’arte e d’intelletto.
Di
me che dir? Cantor di patrie ruíne,
tra
ceneri fumanti vago e ascolto
se
alcun v’è vivo o voce fuor si levi
e
spinga alla riscossa ferma e forte
dei
giusti, di coloro che han remato
e
stracci han perso in mezzo alla tempesta,
coi
flutti combattendo e con i venti,
di
trar tentando fra ridenti onde
la
nave che altri han fatto un dí con arte.
Ella
ch’io canti vuol questa riscossa,
la
sparga e desti le coscienze sane,
degna
progenie d’avi al mal mai chini,
vivente
esempio di onestà e prodezza,
di
patrio amor e familiare affetto,
che
all’opra intenti eran quotidiana
e
muro féan tra i giusti ed i reietti.
Qualcuno
forse un dí questo mio canto
raccoglierà
e col consenso e l’opra
del
popolo curar saprà la rotta
nave
e portarla nuova in placid’onda.
Allor
sarò cantore fortunato
quando
potrò mirarla navigare
in
mar cui l’onda gioca coi gabbiani.
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