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Santa Lucerna, una montagna di misteri e leggende

Monte S. Lucerna, tra misteri e leggende - Pubblicato su Il Domenicale de Il Quotidiano della Calabria 10 luglio 2011, pp. 18 e 19.

Le montagne calabresi nascondono ancora dei segreti? Certamente sì. Alcune, poi, sono state ispiratrici nel passato di leggende che ancora oggi vengono raccontate. È il caso, per esempio, di monte Santa Lucerna, in territorio di Grimaldi (Cs). Che, forse (gli addetti ai lavori però non si sbilanciano più di tanto), potrebbe, ed il condizionale è davvero d’obbligo, ospitare uno sconosciuto sito archeologico. 
Monte Santa Lucerna domina le vallate circostanti dai suoi 1.256 s.l.m in provincia di Cosenza, compreso nei territori dei comuni di Lago e Grimaldi. L’origine è ancora sconosciuta, e presenta una conformazione rocciosa complessa. Il clima è di tipo appenninico, quasi alpino. Così è descritto su Wikipedia.
Intorno a questa montagna aleggiano pure vecchie storie. Sono delle leggende di origine longobarda che parlano – come ci informa il Prof. Antonio Guerriero su un numero di "Grimaldi 2000” che cita un precedente scritto di Luigi Silvagni in Cronaca di Calabria - di una chioccia con sette pulcini d'oro, immensi tesori nelle viscere di S. Lucerna lì depositati «da una regina, padrona e signora delle fu antichissime e doviziose città di Alba-Longa, di Tirirocca e Serralonga e, a guardia di essi, sta un enorme serpente dall'alito asfissiante con doppia filiera di acutissimi denti e dalla coda biforcuta e tagliente a mo' di rasoio, raggomitolato tra le sue formidabili spire al di sopra dei grandi vassoi di argento che contengono oro e pietre preziose. Allo scoccar della mezzanotte dal principio d'ogni plenilunio, sul Pizzone, dalle profondità della montagna – racconta Guerriero -, balza un gallo dalle penne d'argento, dai piedi e dalla cresta d'oro, con gli occhi di grossi zaffiri, che canta tre volte e subito sparisce, per dar posto ad una chioccia con sette pulcini, tempestati tutti di oro e di brillanti che, per pochi minuti, razzolano ed indi spariscono anch'essi. Al fortunato che cattura il gallo, la chioccia ed i pulcini, si spalanca dinanzi ai piedi il nascondiglio degli ambiti tesori, e ne sarà assolutamente padrone, allorquando avrà sostenuto e vinto un impari lotta con il mostruoso serpente».
Questo luogo misterioso è stato meta di recente di un gruppo di appassionati, novelli Indiana Jones alla ricerca di novità. Al ritrovo, sul valico di Potame, di buon mattino, man mano giungono un po’ da tutta la Calabria. Una quarantina di amanti di trekking, natura, geologia, archeologia e storia. A capeggiare il drappello è il prof. Gioacchino Lena, presidente dell’Istituto per gli Studi Storici di Cosenza che ha organizzato la giornata assieme alla SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) sez. Calabria. Insieme a lui, a farci da guida, il geologo Gaetano Osso, e lo storico Sergio Chiatto che a margine dell’escursione ha poi tenuto una conversazione sugli aspetti storici del luogo (vedi box).
Un caffè al bar Tre Monti, che non ha nulla a che fare col ministro, e via in direzione della montagna misteriosa. Un luogo importante, Santa Lucerna, che incute rispetto e interesse, non solo per l’aspetto geo-naturalistico, ma anche per quello storico-archeologico, sui quali Lena e Osso, con Amedeo Brusco e Nicola Paoli hanno condotto un preliminare studio, presentato nell’aprile dello scorso anno in occasione del Convegno Nazionale sul Patrimonio Geologico a Sasso di Castalda (PZ).
Arriviamo sul posto con le auto, alcune si fermano prima per la strada accidentata. Quando ci ritroviamo tutti, inizia la piccola inerpicata. Tra di noi, c’è anche la dott.ssa Rossella Agostino, della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria che valuta con attenzione quanto le guide ci mostrano.
In particolare Nino Osso illustra le caratteristiche morfologiche del sito, una finestra tettonica costituita da dolomie triassiche, con i versanti che si affacciano verso il mare ripidi e scoscesi, accidentati per la presenza di guglie, balze e dirupi dovuti ai fenomeni di erosione e dissoluzione dei costituenti carbonatici. L’interno è invece contraddistinto da numerose spianate sommitali e dalla presenza di doline, che nella porzione centrale deprimono l’acrocoro fino alla quota di 1213 m s.l.m.. Tutto il territorio di Potame costituisce ancora uno degli habitat naturali o naturalizzati ancora integro e di grande valenza naturalistica e paesaggistica.Sarà la parte archeologica a far discutere i presenti. Niente di certo, ma le ipotesi che sembrano contrastare, potrebbero invece essere entrambe plausibili.
L’area è caratterizzata dalla presenza di numerosi filari in muratura costituiti da pietre con diverso orientamento, piccole strutture in elevato di varia misura con evidenti riutilizzi e formanti piccoli ambienti. L’area edificata si sviluppa in modo irregolare, seguendo la morfologia del sito, per una lunghezza di oltre 700 metri e una larghezza massima di circa 300. La tecnica costruttiva, irregolare e grossolana, non presenta alcun tipo di legante tra i componenti della tessitura.
L’ipotesi – lo ripetiamo – sebbene sia solo tale e che andrà supportata da scavi e da studi approfonditi, è che i numerosi resti possano essere parte di un sito archeologico. Tuttavia, c’è chi, come Pino Filice di Grimaldi, è certo che tutta l’area, che nel recente passato è stata sfruttata con intensive coltivazioni agricole (patate, germano ecc.), ed i resti, altro non sono che opera di chi coltivava la zona (portando l’acqua dal vicino fiume Tenise con mezzi di fortuna), e dai pastori che la frequentavano.
Non resta che aspettare scavi e studi degli esperti, se e quando ci saranno, per saperne di più. Quello che è certo, per il momento, è che il luogo merita di essere visitato. Unica raccomandazione, andateci attrezzati da trekking e con qualcuno del posto che vi faccia da guida.

S. Lucerna, luogo di frontiera
di Sergio Chiatto
Il 13 febbraio 1404, quale filiale della parrocchiale di Grimaldi, (intitolata a San Pietro, della quale v’è traccia almeno dal 1360) la chiesa, sine cura, di Santa Lucerna di Monte Santa Lucerna, ricadente nella diocesi di Cosenza, risultò officiata da Don Antonio de Flore del casale di Paterno, il quale contemporaneamente fu provvisto della terza porzione della chiesa parrocchiale di San Giovanni della stessa Paterno, solitamente retta da tre rettori. Qualche anno dopo, il 4 dicembre 1429, ne beneficerà, sebbene ad interim, tale Don Giacomo de Alessandro di Grimaldi), il quale nel contempo è il parroco (porzionario) della chiesa parrocchiale di San Pietro dello stesso luogo. Il de Alessandro subentrava al defunto Don Giovanni de Valle (originario anch’egli di Paterno). Appena quattro mesi dopo, esattamente il 29 aprile 1430, sarà Don Tommaso de Marsico ad acquisirne la prebenda, la cui prevedibile modestia, essendo la “nostra”, lo ripeto, chiesa “sine cura” (senza cura d’anime, ovvero chiesa - o cappella - solo filiale), era compensata dagli altri incarichi ricoperti dallo stesso de Marsico, il quale, appunto, era altresì titolare di una delle porzioni della chiesa parrocchiale di San Pietro, nonché di altre chiese (o cappelle) tutte di Grimaldi.
L’ultima notizia (tratta, come le precedenti, dal Regesto Vaticano per la Calabria del compianto P. Francesco Russo) sulla chiesa di Santa Lucerna di Monte Santa Lucerna, data 24 maggio 1442, allorquando la stessa veniva provvista a tale Don Angelo de Augustino di Motta Santa Lucia, parroco anch’egli di una delle porzioni della più volte nominata chiesa parrocchiale di San Pietro di Grimaldi, il quale subentrava al precedente beneficiato, Don Tommaso de Marsico, defunto.
Era forse ormai venuta meno la funzione assunta dalla chiesetta all’atto della sua edificazione, la quale, nelle intenzioni dei suoi fondatori, doveva render sacro e quindi inviolabile il sito e fungere così da deterrente nei confronti di coloro i quali avessero avuto di mira la violenta acquisizione di quel territorio, che i grimaldesi, giova rammentarlo, avevano strenuamente e vittoriosamente conteso ai vicini in occasione di uno dei soliti riordini territoriali, uno dei quali avvenne proprio in ambiti quattrocenteschi. Perché Santa Lucerna, per la sua eminente posizione, fu chiaramente un luogo d’avvistamento, oltre che un confine, o un “limite” (forse in più occasioni ed in tempi anche remoti); e tale è ancora, delimitando attualmente i territori di Grimaldi, Lago e Domanico. Una “frontiera”, talora, da difendere con ogni mezzo, brandendo se del caso pure simboli religiosi e perfino magici, come mostruosi serpenti posti a guardia di improbabili tesori. Nei secoli successivi, XVI e XVII sicuramente, stando agli utili studi di Don Franco Vercillo, il luogo (Santa Lucerna) risultava destinato a “difesa”. Ricordo che nel suo ambito, con alcune limitazioni naturalmente, vi si poteva legnare, far pascolare il bestiame e praticare l’agricoltura e “l’industria” casearia. I fondi interessati, cosiddetti “chiusi”, erano inibiti agli estranei; al contrario di quelli “aperti” dai quali l’università (l’odierno comune) traeva delle entrate che sovente servivano ad alleviare la fiscalità posta a carico dei cittadini.

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