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Un'emigrata in Calabria in un film di Mereghetti a Cannes: Corpo celeste

di Gaetanina Sicari Ruffo
L'esordiente regista Alice Rohrwacher, l'unica italiana ammessa alla Quinzaine des realisateurs, nel suo lungometraggio Corpo celeste (da un testo di Anna Maria Ortese) ha rivisitato, attraverso gli occhi dell'adolescente Marta (Yle Vianello), di ritorno dalla  Svizzera, il Sud (Reggio Calabria), invertendo la storica rotta degli emigrati d'inizio secolo. Marta e la famiglia ritornano, ma non è detto perché: le problematiche socio-economiche sono sotterraneamente filtrate. In primo piano invece emerge la vicenda umana della giovanissima e il suo impatto prima d'ogni cosa con il mondo giovanile e la parrocchia che frequenta per la preparazione alla cresima. Sacro e profano si mescolano insieme in una moderna accezione negli ambienti ristretti  della scuola, della famiglia, della parrocchia. Talvolta l'istanza spirituale avvertita da Marta scava nella sua psiche un  conflitto con  la convenzionalità delle frequentazioni e degli incontri, mentre  il rapporto con la madre (Anita Caprioli) l'aiuta a  scandire il lento passaggio verso una maturazione che non sarà semplice e scontata.

Il mondo giovanile, attraversato da dubbi, scoperte ed emozioni, è il filo rosso che lega la vicenda dei protagonisti ad una  esperienza colta nel suo farsi, autentica ed elementare, ma non ovvia e consueta. Vengono superati gli schemi precostituiti e consunti ed anche nelle difficoltà dell'ambiente ogni cosa tende ad acquistare il suo valore ed il  reale significato se la mente è sgombra da pregiudizi.
La lezione che se ne trae è che i  giovani forse ci salveranno e riproporranno un nuovo modo si sentire.

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