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L'Armistizio di Cassibile dell'8 settembre 1943

Alle 19.42 dell’8 settembre 1943, dai microfoni dell’Eiar, il maresciallo Badoglio annunciava all’Italia la resa firmata a Cassibile il precedente 3 settembre. 

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Antefatti
Nella prima metà del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione indotta dall'opinione sempre più condivisa che la guerra fosse ormai perduta e che stesse apportando insopportabili danni al Paese, Benito Mussolini, capo del fascismo, operò una serie di avvicendamenti che investì alcuni dei più significativi centri di potere e delle alte cariche dello Stato, rimuovendo, tra l'altro, alcuni personaggi che reputava ostili alla prosecuzione del conflitto accanto alla Germania o più fedeli al Re che non al regime. Secondo alcuni studiosi, fu a seguito a tali sostituzioni, reputate come atte a rafforzare il regime in crisi di consenso se non apertamente ostili al Quirinale (dal quale giungevano da tempo segnali critici occulti nei confronti del governo), che Vittorio Emanuele avrebbe rotto gli indugi ed iniziato a progettare in via esecutiva un piano che consentisse la destituzione del duce.
Per questo fu avvicinato Dino Grandi, uno dei gerarchi più intelligenti e prestigiosi dell'élite di comando, che in gioventù si era evidenziato come il solo vero potenziale antagonista di Mussolini all'interno del Partito Nazionale Fascista, e del quale si aveva motivo di sospettare che avesse di molto rivisto le sue idee sul regime. A Grandi, attraverso garbati e fidati mediatori fra i quali il Conte d'Acquarone, ministro della Real Casa, e lo stesso Pietro Badoglio, si prospettò l'opportunità di avvicendare il dittatore e si convenne che la stagione del fascismo originale, quello dell'"idea pura" dei fasci di Combattimento, era finita ed il regime si era irrimediabilmente annacquato in un qualunque sistema di gestione del potere, avendo perso ogni speranza di sopravvivere a sé stesso.
Grandi riuscì a coinvolgere nella fronda sia Giuseppe Bottai, altro importantissimo gerarca che sosteneva l'idea originaria e "sociale" del fascismo operando sui campi della cultura, sia Galeazzo Ciano, che oltre che ministro ed altissimo gerarca anch'egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all'Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempre detto a Grandi, da Enrico Caviglia, generale di più stimate qualità personali e professionali.
La nomina di Badoglio, che aveva aperto la strada ad un istintivo entusiasmo popolare durato poche ore, non significava la fine della guerra, che continuava "a fianco dell'alleato germanico", sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace. Attraverso canali dei più disparati, si cercò un produttivo contatto con le potenze alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee ed indipendenti) già intessute da Maria José, consorte di Umberto II di Savoia, che potevano stavolta meritare l'avallo del re.

Verso la firma 
Fu a Lisbona che si decise di agire e fu qui che venne inviato il generale Giuseppe Castellano, per prendere contatti con le armate avversarie. Vennero inviati in Portogallo (o vi si presentarono per loro conto), separatamente fra loro, anche altri due generali, ufficialmente latori delle stesse aperture; gli alleati, sconcertati, faticarono a comprendere quale dovesse essere il loro interlocutore e misero a confronto i tre generali, i quali si abbandonarono ad una singolare lunga contesa circa le rispettivamente pretese superiorità di grado. Identificato nel Castellano il "vero" inviato, l'ambasciatore inglese Ronald Campbell ed i due generali inviati nella capitale portoghese dal generale Dwight David Eisenhower, l'americano Walter Bedell Smith e l'inglese Kenneth Strong, ascoltarono (senza ovviamente sbilanciarsi) della disponibilità di Roma alla resa.
La proposta di resa, in realtà non era considerata con grande euforia da parte alleata, in quanto le sorti della guerra erano già avviate verso una probabilmente prossima sconfitta (di cui anche Roma era da tempo convinta) delle armate italiane, e dunque la resa avrebbe sì significato un'accelerazione del decorso bellico, ma avrebbe anche limitato i vantaggi che le forze alleate avrebbero potuto ricavarne, primo fra tutti la conquista.
Da autorevoli commenti successivi, ed anche dalla vasta memorialistica prodotta nel dopo-guerra dai soggetti coinvolti (uno fra i quali era per l'appunto Eisenhower), si è dedotto che comunque fu l'incertezza nei rapporti fra le potenze alleate, e l'intento di evitare, a guerra ancora aperta, pericolose frizioni di interesse fra loro, che spinse gli alleati ad accettare di parlarne con concreta attenzione. Se l'Italia fosse stata conquistata, ad esempio, dagli americani (già in posizione di supremazia militare nell'alleanza), Inghilterra e Russia avrebbero ovviamente distinto le loro posizioni per garantirsi equilibri che ne pareggiassero la strategica acquisizione, ed avrebbero combattuto per loro conto, forse - eventualmente - anche contro gli stessi statunitensi. In più, in una eventuale spartizione, era assolutamente da evitare (secondo gli altri) che l'Italia cadesse in mano inglese, giacché Londra avrebbe potuto monopolizzare il traffico commerciale, coloniale e soprattutto petrolifero del Mediterraneo. Se ancora Yalta non era alla vista, se ne cominciava ad apprezzare la fragranza.
Accettare la resa (rinunciando a conquistare l'Italia) divenne dunque un male minore, per il quale spendere molte energie diplomatiche, anche contro la talvolta indisponente parata dei rappresentanti italiani; e tanto si fece, da parte americana e degli altri alleati.
Il 30 agosto Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva; il generale comunicò la richiesta di un incontro in Sicilia, avanzata dagli Alleati per il tramite dell'ambasciatore inglese in Vaticano, D'Arcy Osborne (che collaborava a stretto contatto con il collega statunitense Myron Charles Taylor). Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso monsignor Montini ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal Quirinale di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.

Scelta delle condizioni
Badoglio, ritenendo per suo conto che vi fossero anche gli spazi per una trattativa nella quale contrattare e "vendere" la resa a buon prezzo, quantunque si trattasse in realtà di una supplice richiesta di cessazione delle ostilità, chiese a Castellano di farsi portavoce di alcune proposte presso gli Alleati: in particolare Castellano avrebbe dovuto insistere sul fatto che l'Italia avrebbe accettato l'armistizio solo a condizione che prima si effettuasse un massiccio sbarco alleato nella penisola. Badoglio si spinse anche a chiedere agli alleati di conoscere quali fossero i loro programmi militari, forse dimenticando, o magari sperando che non vi avessero fatto caso gli altri, che sino all'eventuale firma di un armistizio, che ancora non era stato firmato, la guerra era ancora aperta e che normalmente nessuno rivela in anticipo i propri piani agli avversari.
Tra le tante altre condizioni che furono richieste agli alleati, talune poste solo per il dovere di porne, solo quella di inviare 2.000 unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale fu accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (ma sarebbe stata poi snobbata dagli stessi comandi italiani).
Il 31 agosto il generale Castellano arrivò in aereo a Termini Imerese e fu quindi trasferito a Cassibile, nei pressi di Siracusa. Nello staff locale di Castellano si insinuò in qualche modo, e senza apparente ragione, né successiva spiegazione, anche un avvocato siciliano, Vito Guarrasi,all'epoca ufficiale di collegamento, il cui nome sarebbe poi emerso in qualche correlazione con molti altri eventi regionali successivi, senza che però se ne provasse mai alcun coinvolgimento in alcunché.
I colloqui comunque videro le parti relativamente distanti: Castellano chiese garanzie agli Alleati rispetto alla inevitabile reazione tedesca contro l'Italia alla notizia della firma dell'armistizio e, in particolare, uno sbarco alleato a nord di Roma precedente all'annuncio dell'armistizio; da parte alleata si ribatté che uno sbarco in forze e l'azione di una divisione di paracadutisti sulla capitale (un'altra richiesta su cui Castellano insistette) sarebbero stati in ogni caso contemporanei e non precedenti alla proclamazione dell'armistizio. In serata Castellano rientrò a Roma per riferire.
Il giorno successivo, con buon riguardo degli orari della burocrazia, Castellano fu in effetti comodamente ricevuto da Badoglio; all'incontro parteciparono il ministro Raffaele Guariglia e i generali Ambrosio e Carboni. Emersero posizioni non coincidenti: Guariglia e Ambrosio ritenevano che le condizioni alleate non potessero a quel punto che essere accettate; Carboni dichiarò invece che il Corpo d'armata da lui dipendente, schierato a difesa di Roma, non avrebbe potuto difendere la città dai tedeschi per mancanza di munizioni e carburante. Badoglio, che nella riunione non si pronunciò, fu ricevuto nel pomeriggio dal re Vittorio Emanuele III, che decise di accettare le condizioni dell'armistizio.

Modestia e ritrosia
Un telegramma di conferma fu inviato agli Alleati; in esso si preannunciava anche l'imminente invio del generale Castellano. Il telegramma fu intercettato dalle forze tedesche in Italia che, già in sospetto di una simile possibile soluzione, presero a tampinare, attraverso il comandante della piazza di Roma, Badoglio: questi enfaticamente spese molte volte il giuramento e la parola d'onore del generale più medagliato d'Italia per smentire qualsiasi rapporto con gli americani, ma in Germania cominciarono ad organizzare delle contromisure.
Il 2 settembre Castellano ripartì per Cassibile, per dichiarare l'accettazione da parte italiana del testo dell'armistizio; non aveva tuttavia con sé alcuna autorizzazione scritta a firmare. Badoglio, che non gradiva affatto che il suo nome fosse in qualche modo legato alla sconfitta, cercava di apparire il meno possibile e non gli aveva fornito deleghe per la firma, auspicando evidentemente che gli Alleati non pretendessero altri impegni scritti oltre al telegramma spedito il giorno precedente.
Castellano sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma, redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedevano le credenziali del generale, cioè l'autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, che non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome; si precisò che, senza tale firma, si sarebbe prodotta l'immediata rottura delle trattative. Ciò, naturalmente, perché in assenza di un accredito ufficiale, la firma di Castellano avrebbe impegnato solo lo stesso generale, certo non il governo italiano. Nessuna risposta pervenne tuttavia da Roma.
Al che, nella prima mattinata del 3 settembre, Castellano per sollecitare la delega, inviò un secondo telegramma a Badoglio, il quale questa volta rispose quasi subito con un radiogramma in cui chiarì che il testo del telegramma del 1° settembre era già una implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.
Ma di fatto continuava comunque a mancare una delega a firmare: si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16,30, che finalmente conteneva una esplicita autorizzazione che permettesse a Castellano di firmare il testo dell'armistizio per conto di Badoglio e che informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l'ambasciatore inglese in Vaticano D'Arcy Osborne.
A quel punto si procedette alla firma del testo dell'armistizio 'breve'.

Le firme
L'operazione ebbe inizio intorno alle 17: apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) a nome di Eisenhower. Alle 17,30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata in extremis dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento delle ritrosie di Badoglio e che senza molto dubbio sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.
Harold Macmillan, il ministro inglese distaccato presso il quartier generale di Eisenhower, informò subito Churchill che l'armistizio era stato firmato "[...] senza emendamenti di alcun genere".
A Castellano furono solo allora sottoposte le clausole contenute nel testo dell'armistizio 'lungo', già presentate invece a suo tempo dall'ambasciatore Campbell al generale Zanussi, anch'egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell'armistizio "lungo" avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.
Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i ministri della Marina, De Courten, dell'Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice, presenti il generale Ambrosio e il ministro della Real Casa Acquarone: non fece cenno alla firma dell'armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.
Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in Calabria, ad uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di Napoli ed all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati.
Nelle prime ore del mattino, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e Reggio Calabria lo sbarco di soldati della 1ª Divisione canadese e di reparti inglesi; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l'attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto invece luogo lo sbarco principale.
L'armistizio fu reso pubblico alle 19:45 dell'8 settembre dai microfoni dell'EIAR che interruppero le trasmissioni per trasmettere l'annuncio (precedentemente registrato) della voce di Badoglio che annunciava l'armistizio alla nazione.

Conseguenze dell'armistizio di Cassibile
Il prematuro annuncio dell'armistizio da parte degli alleati colse del tutto impreparate e quasi prive di direttive le forze armate italiane che si trovavano su tutti i fronti.
All'annuncio di Badoglio la confusione regnava totale nell'esercito italiano: in molti reggimenti la notizia dell'armistizio fu una sorpresa, in altri non si sapeva che fare, in altri ci si preparava a combattere. Il mattino successivo il Re, il Governo, e gli Stati Maggiori si trasferirono a Brindisi, una delle poche zone del territorio nazionale libera sia dai tedeschi che dagli alleati. Per raggiungere tale località, però, affrontarono un rocambolesco viaggio attraversando gli appennini ed imbarcandosi ad Ortona sulla corvetta Baionetta (scortata da un incrociatore), giungendo nella città pugliese solo il mattino del 10 settembre.
Tuttavia le modalità del viaggio, improvvisato all'ultimo momento, e la pusillanimità di molti loro componenti, fecero sì che esso assomigliasse molto più ad una fuga disperata che non al trasferimento in una zona sicura del vertice delle istituzioni. Tristemente nota è la penosa scena dell'imbarco nel porto di Ortona: poiché non c'era posto per tutti i componenti del numeroso seguito, molti di loro, pur essendo alti ufficiali delle Forze Armate, si gettarono inutilmente all'assalto della piccola corvetta Baionetta, ed una volta respinti a terra, colti dal panico, vestirono abiti borghesi e, abbandonando bagagli ed uniformi per terra nel porto, si diedero alla macchia.
Così, mentre avveniva il totale sbandamento delle forze armate, le armate tedesche della Wehrmacht e delle SS presenti in tutta la penisola poterono far scattare l'Operazione Achse (secondo i piani già predisposti sin dal 25 luglio dopo la destituzione di Mussolini) occupando tutti i centri nevralgici del territorio nell'Italia settentrionale e centrale, fino a Roma, sbaragliando quasi ovunque l'esercito italiano: la maggior parte delle truppe fu fatta prigioniera e subì l'internamento in Germania, mentre il resto andava allo sbando e tentava di rientrare al proprio domicilio. Di questi ultimi chi non vi riusciva si dava alla macchia andando a costituire i primi nuclei del movimento partigiano.
La marina da guerra italiana, che era ancorata nei porti da circa un anno per penuria di carburante, dovette consegnarsi nelle mani degli alleati. Fu proprio a causa di questo ordine che il convoglio partito da La Spezia, composto da 3 corazzate (Roma, Vittorio Veneto e Littorio appena ridenominata Italia), 6 incrociatori e 9 cacciatorpediniere verrà assalito da velivoli tedeschi. Verso le 15.00 del 9 settembre uno stormo composto da bombardieri tedeschi Dornier 217 attaccò la nostra flotta senza infliggerle danni e perdendo un velivolo a causa del fuoco contraereo. Ma dopo 40 minuti un altro stormo di aerei tedeschi attaccò causando l'affondamento della super corazzata Roma, vanto della marina da guerra italiana. Sfruttando un nuovo tipo di bomba radiocomandata, i tedeschi riuscirono a far affondare la nave con tre soli ordigni, anche grazie al fatto che uno esplose nelle vicinanze dei magazzini prodieri di proiettili generando un'enorme deflagrazione. Tuttavia la nostra marina riuscì a salvare l'onore in quanto, una volta consegnatasi agli alleati, le navi continuarono a sventolare il tricolore e, utilizzate esclusivamente da equipaggi italiani, si unirono alle flotte alleate per combattere contro il nuovo nemico. Si evitò così un nuovo tragico episodio come l'autoaffondamento tedesco di Scape Flow del 1919 o l'autoaffondamento francese di Tolone del 1942.
Nonostante alcuni straordinari episodi di valore in patria e su fronti esteri (uno dei più celebri è quello che si concluse con l'eccidio di Cefalonia), quasi tutta la penisola cadde sotto la pronta occupazione tedesca e l'esercito venne disarmato, mentre l'intera impalcatura dello Stato cadde in sfacelo. Solo in Sardegna, in Corsica (nel frattempo occupata dell'Italia) e in Puglia, le Forze Armate italiane riuscirono da sole a sconfiggere e mettere in fuga il nemico tedesco. A Napoli, invece, fu necessaria la sollevazione di tutta la popolazione per scacciare i nazisti.
Una questione a parte si originò circa la mancata difesa di Roma, che poté essere facilmente espugnata dai tedeschi.

Commenti

  1. Non mi tornano i DO217 ad affondare la Roma.
    Mio padre era imbarcato sulla Vittorio Veneto, e ricordo il suo racconto dell'affondamento della nave che navigava di conserva all'ammiraglia, che alzava le insegne dell'ammiraglio Bergamini.
    Nel racconto di mio padre furono degli Stuka (bombardieri in picchiata) di cui uno centrò uno dei fumaioli (presumibile fosse quello di prora) con la bomba -standard per quel velivolo - dda 250 Kg.

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