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La figura di Otello Profazio, mastru cantaturi, in un libro curato da Massimo De Pascale

Fonte: Sito Web Casa Editrice Squi[libri] Roma

Da più di mezzo secolo Otello Profazio costituisce un fenomeno unico nel panorama della musica popolare italiana. Autore, ricercatore e interprete sensibile e appassionato, ha saputo dare voce alle tante anime della Calabria e del Meridione. La fantasia visionaria delle storie e leggende del Sud, la grande poesia civile di Ignazio Buttitta, il dramma di contadini e emigranti, puntualmente traditi dalla storia, hanno trovato in lui un moderno cantastorie capace di coniugare impegno e ironia.
Oltre che come cantante e musicista, Profazio ha contribuito alla conoscenza e alla diffusione della musica popolare in Italia attraverso un’attività multiforme. Nella lunga intervista che costituisce la parte centrale del volume riemergono, intrecciate con momenti significativi della storia e del costume del nostro paese, esperienze pionieristiche come la collana Folk della Fonit Cetra o il memorabile programma radiofonico Quando la gente canta e figure centrali della cultura del Novecento come Matteo Salvatore, Rosa Balistreri, Giorgio Gaber, Ignazio Buttitta e Diego Carpitella.
Con introduzione critica, una lunga intervista ad Otello, un’antologia di scritti dedicati alla sua opera da autori come Carlo Levi e Antonino Uccello, i testi poetici con traduzione e una ricca documentazione fotografica, il volume ripercorre la carriera di uno straordinario interprete della musica e dell’anima del popolo meridionale.
Nei due cd allegati un'ampia selezione del vasto repertorio di Profazio, dall'edizione a 78 giri de ‘U ciucciu a una recentissima rivisitazione in chiave reggae di Qua si campa d'aria ad opera di Daniele Sepe, con diversi inediti tra i quali spicca Una regina senza re che Profazio e Buttitta dedicarono alla storia di Franca Viola, una delle vicende che maggiormente segnarono l'evoluzione del costume italiano negli anni ‘60.

Introduzione di Massimo De Pascale
Quando Otello Profazio iniziava la sua carriera artistica, il Festival di San Remo contava appena tre anni di vita, i dischi erano a 78 giri e la televisione non era ancora nata. I vicini si riunivano nei salotti buoni o nei seminterrati popolari per ascoltare le radiocronache di Nicolò Carosio e i programmi musicali dell’orchestra di Cinico Angelini. Regina della canzone era indiscutibilmente Adionilla Pizzi, in arte Nilla che, nonostante l’aria da massaia rurale, svariava elegantemente fra Grazie dei fior, Campanaro e Papaveri e papere. Dell’Italia vera, ingombra delle macerie della guerra, flagellata dalle alluvioni e da un’emigrazione biblica e in cui braccianti e contadini lottavano ancora contro il feudalesimo, poco o niente trapelava nelle canzoni.
L’attualità riusciva a farsi largo tra amanti tradite, vecchi scarponi, mamme canute e borghi antichi soltanto se rispondeva all’appello della retorica patriottica. Così, mentre i profughi giuliani affollavano alloggi di fortuna in mezza Italia, la questione irrisolta di Trieste era approdata a San Remo tramite una bianca colomba, foriera della riunificazione.
(…) In quegli anni Otello ascoltava, come tutti, Nilla Pizzi, ma preferiva senz’altro Nicolò Carosio, il moderno aedo del calcio , perché il sentimentalismo di quelle canzoni non lo convinceva né, come direbbe lui, lo emozionava. Dalla famiglia paterna aveva ereditato una certa predisposizione per la musica, ricevendo intorno ai quindici anni i primi rudimenti di chitarra che consistevano in semplici giri armonici per tarantelle e per l’accompagnamento di stornelli . Questo avvicinamento alla musica della tradizione si arricchiva attraverso il contatto continuo con i contadini e gli artigiani del paese e la partecipazione ai riti e alle festività del ciclo annuale. Dall’altra parte c’era la frequentazione quotidiana del liceo classico a Reggio Calabria e quindi l’accesso al sistema della cultura ufficiale. Fin da subito, quindi, il giovanissimo Profazio andò inconsapevolmente assumendo un ruolo di intermediario fra tre mondi diversi, quello della tradizione contadina, quello della cultura ufficiale e quello della nascente industria culturale di massa. Come sanno bene gli antropologi, nelle culture tradizionali le figure che si situano all’incrocio fra mondi diversi acquisiscono uno statuto eccezionale che però scontano con una inquietudine insanabile. E’ il caso, per esempio, delle Anime del Purgatorio, venerate in tutto il Meridione, intermediarie fra la Terra e il Cielo, ma anche degli emigranti, incarnazione moderna e mondana delle anime in pena, sospesi tra mondi diversi, mai completamente integrati nella nuova realtà, irrimediabilmente perduti per quella d’origine . Ed è il caso anche di Otello, la cui carriera sarà sempre caratterizzata da una incessante mobilità e da una grande ricchezza di esperienze.
Favorito da una bellissima voce, limpida e versatile, e da una non comune abilità di versificazione, il giovane cominciò ad “aggiustare” reperti preesistenti, strofe di stornelli, frammenti di canzoni o di poesie, creandosi un piccolo repertorio per esibizioni che avvenivano entro la cerchia ristretta di parenti e amici. “Aggiustare” significava collegare organicamente frammenti sparsi, esplicitandone, o creando ex novo, l’unità tematica, integrare e regolarizzare la metrica, provvedere ad una interpretazione che rendesse evidenti i contenuti senza discostarsi troppo dai moduli vocali tradizionali. Forse gioverà ricordare, a questo punto, che il concetto di canzone come unione di versi e musica fissata una volta per tutte da uno o più autori è del tutto estranea alle culture popolari in cui, invece, i motivi poetici e le strofe trasmigrano liberamente da un contesto all’altro, combinandosi con melodie diverse e assumendo significati difformi e, talora, persino opposti.
A quel tempo le campagne di rilevamento degli etnomusicologi erano un’attività semiclandestina, confinata entro la cerchia ristrettissima degli specialisti e a nessuno sfiorava l’idea di un possibile collegamento fra quell’attività e un qualsiasi riutilizzo in senso spettacolare del materiale rilevato. I pochi che, come Otello, si rivolgevano sistematicamente al mondo tradizionale potevano in sostanza contare solo sulla propria personale sensibilità. Del resto, nel mondo radiofonico e discografico non esisteva nemmeno la coscienza della musica popolare come di un genere autonomo con un proprio potenziale settore di mercato. Canzoni popolari, arrangiate in maniere più o meno plausibili, potevano sporadicamente entrare a far parte del repertorio di qualsiasi cantante e quelli che si specializzavano in queste produzioni venivano comunque percepiti da pubblico e addetti ai lavori come cantanti leggeri.
Uno dei primi frutti dell’attività di aggiustamento del giovane Profazio fu la canzone ‘U ciucciu, composta, secondo la sua stessa testimonianza, a partire da strofe preesistenti di probabile origine extraregionale. Mentre imperversavano gli amori struggenti, cantare la storia di un uomo che rimpiange, più della moglie, l’asino, animale per definizione prosaico e legato al mondo della terra , comportava una precisa intenzione ironica e demistificante. (…) Per uno dei tanti paradossi che costellano la cultura di massa, ad invaghirsi del Ciuccio fu proprio l’azzimato Nunzio Filogamo, l’uomo che col suo Cari amici vicini e lontani aveva inaugurato l’interminabile saga di splendori e miserie della canzonetta nazionale. Fu così che, in maniera del tutto casuale, prese l’avvio, durante una trasmissione dedicata alle esibizioni di dilettanti , una carriera originalissima che ha incrociato alcuni dei momenti più significativi della cultura, del costume e dell’attualità nazionale, e che continua tuttora, mantenendo un’invidiabile coerenza di fondo. Fin dagli esordi, Otello si è saputo muovere con grande consapevolezza nel mondo dello spettacolo, riuscendo a garantirsi un’autonomia che gli ha sempre consentito di gestire le proprie scelte in prima persona, secondo le linee di un’incessante ricerca. Naturalmente, questa autonomia è riuscito a garantirsela perché le sue prime esibizioni radiofoniche e i suoi dischi hanno immediatamente registrato un notevole successo, a partire proprio da quegli artigiani e contadini calabresi che erano stati i suoi primi informatori. (…) La sua inquietudine lo spingeva a cercare strade e pubblici diversi. In questo periodo, la sua attenzione era rivolta, strategicamente, all’universo della cultura di massa che, con la nascita della televisione pubblica, stava assumendo la fisionomia che avrebbe mantenuto sostanzialmente immutata fino agli inizi degli anni ’80. E qui la capacità di gestire autonomamente le proprie scelte artistiche si sarebbe scontrata più volte con i vari condizionamenti politico-culturali e commerciali , mettendo in luce una delle caratteristiche fondamentali della fisionomia artistica e umana di Otello: quell’individualismo ostinato e appassionato che gli ha consentito di attraversare mode e tendenze, mantenendo sempre una distanza critica, ma che gli è anche costato, in definitiva, l’isolamento e la sottovalutazione.
Gli sforzi di Otello per approdare in televisione si concretizzarono in primo luogo in un affinamento della tecnica interpretativa – con un occhio a raffinati chansonnier napoletani come Roberto Murolo e Fausto Cigliano, e l’altro, credo, al primissimo Modugno delle canzoni siciliane – e nell’ampliamento del repertorio, proprio in direzione della Sicilia, regione che ha sempre sentito come parte fondamentale della sua area culturale di riferimento. E’ a questo periodo che risalgono, fra le altre, una personale riduzione di Vitti ‘na crozza che, rispetto a quella lanciata dal film Il cammino della speranza, accentua le immagini riconducibili alla polarità amore/morte, e la composizione, a partire da un testo satirico di origine popolare, di Governu ‘taliano, l’embrione di quella che sarà, insieme al lavoro col poeta siciliano Ignazio Buttitta, la sua operazione più ambiziosa: L’Italia cantata dal Sud.
Governu ‘taliano, come più tardi la celeberrima Qua si campa d’aria, è anche un esempio dell’ironia paradossale e amara con cui Otello ha sempre affrontato i temi legati alla politica e al rapporto fra le masse meridionali e lo Stato. La stessa ironia paradossale e amara si ritrova in un paio di canzoni, Il barone dei fiori e Lu capubastuni in cui Otello, con il consueto spirito pionieristico, decise di affrontare il tema della mafia. Un tema inusitato per il mondo della canzone di allora, tanto più che entrambi i pezzi raccontavano senza mezzi termini degli assassinii.
(…) Sono passati più di cinquant’anni dal suo fortunoso esordio e tutto sembra cambiato. Sulle case dei contadini di un tempo sono germinate foreste di antenne paraboliche e la gente, ormai, non canta più; si limita ad ascoltare passivamente musichette senz’anima e senza radici che la inseguono persino negli ascensori dei centri commerciali e che fanno rimpiangere l’eleganza sommessa di Nilla Pizzi e Giorgio Consolini, mentre il povero Nunzio Filogamo è ormai un reperto di modernariato che fa tenerezza in confronto alla protervia e all’arroganza che regnano nel mondo dello spettacolo. Otello, per fortuna, canta ancora. Mantiene intatta la voglia di sperimentare e mettersi in discussione e i suoi concerti, sia quelli solistici, sia quelli che lo vedono impegnato a fianco di musicisti delle giovani generazioni che riconoscono in lui un capostipite, sono sempre pieni di giovani. Persino sui forum di discussione di Internet spunta il suo nome. Mentre le mode e i “trend” si succedono sempre più vertiginosamente, e insensatamente, questa sua straordinaria longevità artistica è la prova migliore della sua autenticità ed onestà di fondo, della forza della sua inquietudine.

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