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LA RESISTENZA E QUEI VALORI CHE DEVONO SOPRAVVIVERE

di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI

(FONTE IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA 22 APRILE 2008, PAGG. 1 e 61)

VENERDI’ prossimo, 25 aprile, sarà celebrata la Festa della Liberazione dal Nazifascismo e, conseguentemente, la Resistenza che l’ha resa possibile. È giusto che questo avvenga, anche perché è necessario rafforzare la memoria del nostro tragico passato per contrastare l’oblio che lo insidia, sospingendolo nell’irrilevanza, come se, col trascorrere del tempo, fosse ormai divenuto qualcosa su cui è inutile tornare, magari in nome di una malintesa pacificazione nazionale, che di fatto oltraggia le vittime equiparando a loro gli aguzzini. Opportune, quindi, tutte le iniziative che saranno poste in essere il 25 aprile, le rievocazioni dei campi di concentramento nei quali si consumarono drammaticamente violenze e inenarrabili dolori. Per quanto riguarda la nostra regione, si pensi alle approfondite ricerche di Spartaco Capogreco e all'attività della Fondazione Ferramenti da lui voluta insieme a numerosi altri studiosi. In questo fervore commemorativo - ribadisco ancora una volta, quanto mai opportuno - si annida però un pericolo: l'evento Liberazione e tutto quanto essa ha comportato, è consegnato a una dimensione pietrificata, oggetto di un culto ritualizzato, esaurito il quale si può ritornare, “purificati”, alla vita quotidiana, intessuta di ordinaria violenza e ferocia. A contrastare un tale pericolo può essere opportuno ricordare una lapide posta su un monumento eretto a Berlino, accanto al Museo storico della Germania, nei pressi della notissima Porta di Brandeburgo. Ho rivisitato tale monumento oggi, trovandomi a Berlino per la presentazione del progetto Museo della 'ndrangheta e sulla mentalità omissiva e sopraffattiva, di cui si è già parlato in questa rubrica e per incontrare i rappresentanti dei principali Musei e centri di ricerca tedeschi. Il monumento – denominato Neue Wache (La Nuova Guardia) - costituisce la commemorazione nazionale della Repubblica Federale di Germania per le vittime della guerra e della tirannide. Esso ha una lunga storia alle spalle a partire dal 1815-1816, quando venne costruito per conto di Federico Guglielmo II di Prussia, dal 1931 divenne luogo commemorativo per i caduti della grande guerra, dal 1950 assunse la funzione di “monumento commemorativo per le vittime del fascismo e del militarismo” e venne posta la fiamma eterna. Il monumento consiste oggi in un'ampia sala circolare di blocchi di cemento grigio, al centro della quale è situato un gruppo statuario rappresentante una Pietà scolpita da Kaethe Kollwitz: una donna chiusa nel suo curvo dolore accoglie nel suo grembo il figlio morto, il cui corpo è stato marcato decisivamente dalla sofferenza. Sul gruppo statuario di marmo scuro cala la luce di un'ampia botola aperta nel soffitto che canalizza con la luce l'attenzione sulla statua dall'intensa carica di suggestione. All'ingresso del monumento, un pannello redatto in più lingue dichiara: Commemoriamo i popoli che hanno sofferto per la guerra. Commemoriamo coloro che sono stati perseguitati e che hanno perso la loro vita. Commemoriamo i caduti delle guerre mondiali. Commemoriamo gli innocenti che a causa della guerra e delle conseguenze della guerra hanno perso la vita in patria, in prigionia o dopo essere stati costretti alla fuga. Commemoriamo i milioni di ebrei trucidati. Commemoriamo i Sinti e i Rom assassinati. Commemoriamo tutti coloro che sono stati uccisi a causa delle loro origini , della loro omosessualità o perché malati e deboli. Commemoriamo tutte le vittime a cui è stato negato il diritto alla vita. Commemoriamo tutte le donne e gli uomini che hanno dovuto morire a causa della loro convinzione religiosa o politica. Commemoriamo tutti coloro che sono caduti vittime della tirannide e che hanno trovato la morte innocenti. È necessario, lo si è già detto, ricordare le vittime della violenza nazifascista, ma non è meno necessario ricordare tutte le altre vittime della guerra e delle loro conseguenze, della prigionia e della fuga loro imposta da un potere feroce; quanti sono stati assassinati per le loro scelte politiche, coloro che sono stati annientati dalla tirannide, vittime tutte di una crudeltà immane che si è abbattuta nella loro innocenza annientandoli. I fenomeni ricordati in tale testo costituiscono una sorta di protocollo di disvalori che hanno continuato e continuano a operare sino a oggi - molto dopo, dunque, la fine dei regimi nazisti e fascisti - nelle nostre società democratiche. Di contro, tali disvalori, cambiati di segno, possono costituire un protocollo di valori, nell'accezione antropologica di mete culturali, il cui raggiungimento è indispensabile perché la nostrasocietà attui quella cultura del rispetto di tutti e di ciascuno, premessa del concreto riconoscimento di una formale e sostanziale pariteticità di tutti i componenti la società stessa. Tale protocollo diventa, nella prospettiva qui delineata, il protocollo del nostro concreto impegno a realizzare una Calabria diversa in un'Italia diversa, una Calabria più vivibile in un'Italia più vivibile. In questa direzione, il 25 aprile può essere occasione per l'assunzione critica di tale impegno, sottraendo così tale giornata, certamente importante al rischio della stanca, di fatto inefficace, celebrazione.

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