A 35 anni dal golpe argentino del 24 marzo 1976. I ricordi della signora Emma Cuglietta, emigrata calabrese
Sono 35 gli anni passati dal 24 marzo 1976, quando in Argentina c’è il golpe che esautora il governo di Isabel Martínez de Perón, e che fa precipitare la terra dei gauchos in una profonda notte che durerà sino al 1983.
I numeri di quel periodo dittatoriale sono terribili: 30 mila desaparecidos (il 30% di origine italiana), 2.300 omicidi politici e oltre 10.000 arresti politici. Ma anche tante - 250 secondo i dati del rapporto Nunca Mas stilato dalla commissione presieduta dallo scrittore Ernesto Sabato - furono le “vite rubate”, ossia tutti quei bambini che furono portati via ai genitori desaparecidos. O forse 500, come affermano le Abuelas de Plaza de Mayo.
Quegli anni sono ancora ben presenti in chi li ha vissuti in prima persona. Abbiamo ascoltato una testimone che pochi mesi prima del golpe aveva perso il marito. Una morte, quella di Nando Aloisio, militante della sinistra e sindacalista, in qualche maniera sospetta. La signora Emma Cuglietta è nativa di Aiello Calabro, come lo era Nando. Già emigrata, quando, nel 1948, il futuro marito si trasferisce in Argentina. Si sposeranno nel settembre 1950 a Buenos Aires.
Oggi, è una signora anziana, vive ancora a Buenos Aires e ha figli e diversi nipoti. I ricordi indietreggiano agli anni e ai mesi che precedono il marzo del 1976.
L’Argentina, allora, era interessata da una situazione di forte crisi. Nell’ottobre 1973, Peròn era ritornato al potere dopo che nel ‘55 i militari avevano messo fine al suo governo dando vita ad una lunga dittatura militare, intervallata da governi costituzionali. Tuttavia, i molti conflitti tra le diverse fazioni sostenitrici di destra e di sinistra del regime peronista, e la successiva morte del presidente avvenuta il primo luglio 1974, oltre che la oramai drammatica situazione di un paese sull’orlo di un collasso economico e politico (si pensi per esempio all’inflazione aveva superato il 700% o al terrore della triplice A, l’Alleanza Anticomunista Argentina creata da Lòpez Rega), fanno precipitare il paese in una dittatura – con Videla e la sua Junta (Massera e Agosti) alla guida del Paese - che durerà sino al 1983.
«Solo dopo che è successo tutto, si è saputo. Avevo paura per mio marito – ricorda la signora Emma -, perché lui era militante in un partito. Un partito che nemmeno si poteva dire».
«Saputo della morte di Rucci (nel 1973 segretario generale della Confederazione generale del lavoro, ndb), che era sindacalista peronista, ho parlato subito con Nando per chiedere cosa stava succedendo. Mi disse che anche alla porta dell’Inca (ricopriva la carica di presidente della Commissione Nazionale del Patronato Inca-Cgil, ndb) avevano messo 4 tamburi con l’asta». Un segnale di avvertimento. E non fu l’unica minaccia.
«Come sindacalista, perché lui lavorava al banco d’Italia de La Plata, una volta lo hanno preso carcerato, un giorno, all’epoca di Peròn. Un’altra volta, anche, per precauzione abbiamo dovuto togliere tutti i libri, che erano del partito socialista e comunista, da casa».
Come già accennato, il 12 novembre 1975, a pochi mesi dall’inizio della dittatura di Videla, Nando muore.
«Lui si doveva operare al cuore. Allora in Italia dove era stato – racconta Emma Cuglietta -, gli dissero non ti operare in Argentina. Ma volle farlo lo stesso e si operò all’Ospedale italiano. E lì è morto 8 giorni dopo l’intervento. Un giorno prima della morte lo aveva visto il fratello Settimio che disse di averlo visto bene. Ma dopo ci siamo informati che erano morte 8 persone per la stessa operazione».
La signora Emma parla ancora di Nando. Il suo italiano è un po’ incerto, e si alterna con lo spagnolo. «Nando era una persona molto buona. Che difendeva e amava i suoi figli. Come politico era completamente leale. Un uomo che pensava al progresso delle persone, al miglioramento della società. Ha lottato molto in Italia dopo la guerra e qui, in Argentina …».
I ricordi indugiano ancora a quel periodo. Pensa ai tanti desaparecidos, alle madri di Plaza de Mayo, ai figli che hanno perduto per sempre. Se fosse successo a lei, ciò che è capitato alle madri di Plaza de Mayo, non avrebbe dimenticato, né perdonato.
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Articolo uscito su Il Quotidiano il 24 marzo 2006 |
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