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La guerra a pezzi

di Carmelina Sicari
C'è una singolare intuizione di Papa Francesco in totale accordo con voci dimenticate ovvero sia cadute in oblio, trascurate perché non appartenenti al piano della reality della realtà stricto sensu. L'idea che stiamo vivendo la terza guerra mondiale ma a pezzi.
È un'idea che a nessuno degli interpreti delle profezie a cui faccio riferimento era venuta in mente.
Si pensava ad una guerra totale nella decodificazione dell'Apocalisse, con eserciti schierati da una parte e dall'altra, con un fronte. Invece si tratta di feroci azioni ma staccate, intermittenti. Una guerra continua che però non si chiama neppure guerra come si invita da più parti a fare.
Se la cosa non ha un nome dicevano i nominalisti del Medioevo, la cosa non esiste. Sicché se non nominiamo la guerra, essa non esiste. Si dà il caso che non esista neppure il suo contrario, ossia la pace.
In un recente articolo su Famiglia Cristiana, il giornalista Scaglione elencava tutte le ipocrisie che la vicenda di Parigi ha messo spietatamente in luce. Non c'è guerra contro l'Is che è la maschera però di conflitti sotterranei che nella regione si stanno conducendo. La Turchia contro i Curdi, l'Iran contro Assad, la Russia a favore di Assad e così via. Una guerra totale che nasce non solo dalla destabilizzazione dell'area ma anche da altri fattori gravissimi. Primo, la globalizzazione. La nuova unità e vicinanza economica di tutti i popoli, presuppone un nuovo ordine mondiale che ciascuno degli attori vuole dominare. Non dimentichiamo la memoria lunga dei popoli che sono protagonisti. La Turchia ha memoria dell'impero ottomano e perciò vorrebbe un revival della sua potenza. L'Iran lo stesso, l'Islam nelle sue forme più radicali ha la memoria tenace del suo dominio nel Mediterraneo. Così la Russia per quanto concerne il Nord Europa per non parlare della Francia con le guerre napoleoniche e le altre potenze con un passato coloniale in Africa.
A questo si aggiungono le differenze di civiltà. Nella Canzone d'Aspromonte esse sono messe bene in luce. Non si tratta soltanto della cortesia della civiltà occidentale che tradotta in termini moderni significa, società aperta, quella di cui parlava Popper. Si tratta anche di una dimensione sociale e religiosa insieme dell'Islam. La sottomissione. Così suona il titolo di un romanzo pur esso profetico di Huellebecq. Come l'uomo singolo deve sottomessi con la proskunesis ad Allah akbar, così ogni popolo. Nella Canzone, dicevo, si chiede a Risa-Reggio da Agramante con insistenza, il tributo come sottomissione e Gerardo della Fratta. Feudatario superbo di Carlomagno ma fedele alla civiltà occidentale gli manda in un cofanetto la testa mozza di Almonte, figlio di Agramnte. È una delle pagine più tremende e potenti della Canzone.
Ma allora siamo o non siamo in guerra e che guerra è di civiltà o di religione? A parte l'inutile tentativo nominalistico se anche una studiosa come Iulia Ktisteva concorda sull'idea di uno scontro sempre rinviato ed ora venuto al pettine tra civiltà occorre che ci assuefacciamo all'altra categoria del Papa, una guerra a pezzi ma una guerra. Sì, è una dimensione apocalittica lo so ma io credo nelle profezie.

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