Carmelina
Sicari
Due
espressioni compiute dell'interventismo e del pacifismo nella prima
guerra mondiale, due figure emblematiche ed affascinanti. L'uno,
Giovanni Papini che adottò per i suoi pamphlets lo pseudonimo di
Gianfalco o Gian Falco, l'altro, Bruno Misefari originario della
Calabria che fu esule a lungo. Quanto
l'Oriente è lontano dall'Occidente, così può sembrare lontana la
Calabria da Firenze dove nel seno delle riviste fiorentine Lacerba,
Leonardo, La voce, svolse la sua opera, Gianfalco. Eppure entrambi
sono testimoni e raggrumano una tradizione opposta, la rappresentano
al più alto grado. Gianfalco,
quella bellica, dell'intervento ad ogni costo che egli condusse a
partire dal 1914 su Lacerba e Bruno Misefari, quella anarchica di
rifiuto totale della guerra. Entrambi però sono europei, nel senso
più alto e ampio del termine.
La
tradizione anarchica è di per sé internazionale ma Gianfalco guarda
all'Europa con un'intensità inaudita se si pensa che fonda nel '19
a Firenze La vraie Italie in lingua francese. Ardengo Soffici lo
aiuta in questa impresa ed altri intellettuali convergono nell'ideale
nazionalista, come Prezzolini (Giuliano il sofista era il suo
pseudonimo), che partecipa anche lui a dibattiti accesi.
Dietro
Bruno Misefari ma ben distinta da lui, la tradizione cattolica con
l'invettiva di papa Benedetto XV contro la guerra definita
'inutile'.
Dietro
Gianfalco la figura ingombrante di D'Annunzio. D'Annunzio con il
discorso di Quarto nel maggio del '15 aveva in pratica spinto alla
dichiarazione di guerra dell'Italia. L'atteggiamento però di
D'Annunzio è completamente divergente rispetto a quello di
Gianfalco. La partecipazione alla guerra significa per il
poeta-vate, la continuità rispetto al risorgimento e l'unità del
popolo, la convergenza di fini ed ideali di tanti,anzi di tutti.
D'Annunzio include nel discorso anche il re che è assente.
Assente-presente, egli proclama. Tutto il discorso ruota intorno alla
figura di Garibaldi ed ad un'esaltazione mistica della morte degli
eroi che ritornano, che risorgono.
In
Gianfalco c'è l'idea della rivoluzione e l'idea della frattura
dunque, non dell'unità. Sotto questo profilo egli sente maggiormente
l'influsso di Carducci.
Bruno
Misefari scrive un libro fondamentale
Diario di un disertore. Si
riferisce al concreto gesto di non andare in guerra e divenire
disertore che è stata la sua scelta coerente. Essere disertore
significava andare incontro a gravi sanzioni ed anche alla pena di
morte. Moltissime sentenze contro singoli e intere divisioni sono
state eseguite dal nostro comando per fellonia, diserzione, disfattismo. Cadorna e gli alti comandi intendevano
continuare comunque la guerra.
Il
libro di Misefari fu tra le poche sue opere rispetto all'immensa
produzione di Papini. Papini collabora a Il resto del Carlino, a
Pegaso, al Corriere della sera e scrive romanzi come Gog, saggi come
La vita di Cristo, L'uomo Carducci, Il mio futurismo, Ardengo
Soffici, Il sacco dell'Orco, S. Agostino.
Misefari
scrive Diario di un disertore contro l'apoteosi del militarismo e la
guerra maledetta con lo pseudonimo di Furio Sbarmeni e scrive anche
aforismi ma certo non può nell'esilio di Lipari divenire come
Gianfalco, un protagonista.
Due
pseudonimi significativi, uno, Gianfalco, nome di battaglia, l'altro
difficile ed indecifrabile.
Ma
come l'oblio si addensò sull'opera di Misefari nella sua prima vita
(egli mori' nel '36), l'oblio colse l'opera di Papini nella seconda
parte del secolo breve (muore nel '56), perché intanto la guerra
aveva mostrato nei milioni di morti la sua verità e la storia
tributava l'onore a chi appariva sconfitto, Misefari appunto.
Gianfalco ne La vraie Italie, come in un oscuro presentimento
discetta a lungo di Caporetto. Misefari presagisce in uno slancio di
consapevolezza, la sua rinascita.
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