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Giovan Lorenzo Anania, cosmografo e teologo calabrese del XVI secolo


Anania e i segreti di Cristoforo Colombo
Il cosmografo e teologo di Taverna nel 1573 diede alle stampe l'opera "La Universal Fabrica del Mondo". Molti particolari inediti contenuti nel quarto tomo a proposito del viaggiatore genovese
di Roberto Messina 
(Fonte Gazzetta del Sud del 19.01.2012)

Da anni lo storico soveratese Giuseppe Pisano si occupa delle tante connessioni tra Calabria, scoperta dell’America e Cristoforo Colombo. Tesi oggi in parte condivise e sostenute anche dal colombista di fama mondiale Ruggero Marino (v. “L'uomo che superò i confini del mondo”, Sperling & Kupfer).
Dopo avere pubblicato alcuni saggi sui due marinai calabresi che si trovavano sulle caravelle (Anton Calabrès e Angelo Manetti) e, di recente, uno (recensito dal nostro giornale) dal suggestivo titolo “San Francesco di Paola e Cristoforo Colombo: il sogno della crociata”, Pisano si ripresenta con un nuovo studio intitolato “Le rivelazioni su Colombo e sul Nuovo Mondo del cosmografo e teologo calabrese del XVI secolo, Giovan Lorenzo Anania”.
Anania (o “d'Anania”), nato a Taverna intorno al 1544, è autore di un’importante opera, però quasi misconosciuta, pubblicata nel 1573: “La Universal Fabrica del Mondo”, testo di cosmografia che registrò immediato successo, con 4 ristampe in pochi anni, e importanti lettori come, ad esempio, Torquato Tasso, che annotò accuratamente una copia dell’edizione veneziana del 1582.
La “Universal Fabrica” è un’opera enciclopedica che mira a costituire una summa delle conoscenze geografiche e cosmografiche cinquecentesche; viene redatta su una raccolta di scritti di dotti e viaggiatori, ma anche con fonti dirette, spesso citate tra le pagine per nome e circostanze dell’incontro. Un monumentale lavoro, diviso in quattro trattati, dedicati rispettivamente ad Europa, Asia, Africa e Nuovo Mondo. Su quest’ultimo, lo storico Giuseppe Pisano ha concentrato la sua attenzione, spulciando, pagina per pagina, tutte le edizioni dell’opera, e riconoscendo alcune fonti dirette dell’autore mai state individuate precedentemente da alcuno. Si tratta di personaggi rilevanti, dai quali Anania riuscì ad ottenere resoconti di viaggio che inserirà nel suo lavoro. Tra questi, l’esploratore e conquistatore spagnolo Juan Pardo, che guidò una spedizione spagnola negli odierni Carolina (Sud e Nord) e Tennessee, nella seconda metà del secolo XVI.
Il testo di Anania, sottolinea Pisano, contiene numerose e sorprendenti rivelazioni sul continente americano scoperto da poco. Per esempio, la sbalorditiva notizia del ritrovamento, in Messico, della tomba di un soldato romano: “un sepolcro, con un huomo vestito in arme all’antica Romana, alcune medaglie d’oro con la descrittione di Giulio Cesare perpetuo Dittatore”. Anche se ciò - sottolinea lo studioso soveratese -: “non deve far pensare a un tentativodell’autore di creare sensazionalismo o rivendicare una primogenitura romana nel contesto della ‘scoperta dell'America’; difatti l’Anania afferma esservi anche ‘capitati per tempesta molti cartaginesi’ in quelle terre, così come parla in più occasioni anche di contatti con le coste americane del Pacifico da parte di cinesi e giapponesi nel periodo precedente alla spedizione colombiana”.
Ma le notizie sui ritrovamenti - fa sapere lo storico - non finiscono qui. Il cosmografo e teologo di Taverna parla di “sepolcri di giganti” e di “ossa di giganti” ritrovati in Messico e in Perù, e di alcuni “pozzi molto profondi” rinvenuti in Patagonia. Altrettanto interessanti le dichiarazioni sulla figura di Colombo, che Anania definisce: “saggio matematico, non meno che animoso nocchiero”; e ciò a smentire quanti ancora oggi lo ritengono sostanzialmente un avventuriero e ignorante plebeo.
Pisano mette in evidenza un passo che potrebbe rivelare una probabile scoperta fatta dell'Ammiraglio nel corso del suo terzo viaggio (1498): le miniere d’argento intorno alla penisola di Paria, in Venezuela.
Diversi gli interrogativi che lo studioso si pone. Perché, per cominciare, si è sempre parlato di presenza di perle e di oro in quel territorio, e mai invece di argento? Perché l’Ammiraglio, come scrive il colombista Paolo Emilio Taviani, appena giunto dalle Canarie sulla costa continentale venezuelana “ben diversamente che a San Salvador, appare timido e impacciato, quasi a voler rifiutare la scoperta della terraferma”? Perché Colombo, dopo essere rimasto a Paria per due settimane, decide improvvisamente di dirigersi a Santo Domingo, capitale dell’isola di Hispaniola, evitando di perlustrare persino la grande isola, peraltro ricca di perle, di Margarida?
Le miniere d'argento della zona venezuelana esplorata da Colombo non vennero rivelate ai reali spagnoli; a chi bisognava invece rivelarle? I terrificanti nomi di battesimo dati da Colombo ai due stretti, “Boca de la Sierpe” e “Boca del Dragon”, dovevano servire
 ad accentuare la percezione di grande pericolo nel Golfo di Paria, e quindi tenere lontani eventuali concorrenti? E la Chiesa, davvero era all’oscuro di tutto quanto?
Pisano lascia trasparire una soluzione e una possibilità risolutiva: dietro tutto questo, forse, c’erano i famosi Templari, i cavalieri di Cristo, cui Colombo era legato, e il cui coinvolgimento risolverebbe parecchi di quei perché…



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