Quello che il popolo non può e
non deve mai accettare è l’abolizione, non importa se decisa o programmata, del
valore legale del titolo di studio, perché la scuola, in particolare quella
pubblica, la conquista del titolo di studio ed il suo valore legale sono stati
lo strumento fondamentale del riscatto sociale e civile delle classi popolari.
Attraverso
lo studio, duro e serio, i “figli del popolo” hanno “conquistato”, dico
conquistato perché di vera e propria conquista si è trattato, la vera pari
dignità nei confronti dei “figli di papà” del tempo, che, se svogliati e
decadenti, hanno perduto il passo di marcia in avanti, se volenterosi, hanno
meritatamente conservato, nella scala economica e sociale, il posto ed il
“grado” che loro spettavano, senza alcuna discriminazione.
Questo
dico ed affermo io che all’epoca, nell’anno 1960, in un piccolo e laborioso
paese della Calabria, in provincia di Cosenza, fui il primo, proveniente dal
ceto popolare, ad iscrivermi al Liceo Classico di Cosenza, la scuola dei ricchi,
dei “signori” (così veniva chiamata ed era in gran parte), facendo quasi
“scandalo” in mezzo al popolo timido e ignorante (ma con la simpatia e
l’incoraggiamento della parte più avanzata, progressista ed avveduta degli
aristocratici) e ad avere “l’onore” ed il piacere di ricevere, nell’anno 1962,
da parte dell’allora Ministro Luigi Gui, una lettera di notifica e le
congratulazioni per il superamento del concorso per la concessione di una
succosa borsa di studio triennale.
Allora
gran parte del popolo del Meridione d’Italia non si rendeva conto del miracolo
che stava avvenendo sotto i suoi occhi, ma la portata storica della cosa non
sfuggiva all’attenzione sempre vigile dei ceti privilegiati, che allora hanno
subito lo scacco.
Ricordo
a quanti non lo sanno, ma avrebbero il dovere di saperlo: grandissima fu la
resistenza dei ceti privilegiati all’apertura della scuola a tutti, come recita
la Costituzione Repubblicana; grandissima fu la loro resistenza quando i Comuni
in cui erano al governo le forze democratiche e popolari favorirono la
frequenza della scuola pubblica anche da parte dei figli di operai e contadini
con l’apertura di scuole anche nelle campagne e perfino con la costruzione di
edifici scolastici nelle zone rurali.
Ora
è da qualche decennio che quella resistenza conservatrice, opportunisticamente
silente ma mai sopita, ha ripreso forza e vigore, direi coraggio, e, non
potendo far tornare indietro la storia
(chiudendo la scuola al popolo), la affatica, la fa vivere in affanno, la
dequalifica, la svuota di contenuti, ne mina quasi la ragion d’essere, per
cancellare poi abbastanza agevolmente ed in maniera, direi quasi, indolore il
valore legale del titolo di studio che essa rilascia come ultimo atto della sua
funzione e del suo operato; anche perché intanto questa resistenza
conservatrice s’è fatta finanziare a proprio uso e consumo dallo Stato, di cui
per altri versi nega l’utilità, la scuola privata ed ha cercato di renderla un po’ più qualificata
e presentabile (una volta era il diplomificio degli svogliati e degli incapaci
figli di papà in fuga dalla scuola pubblica seria verso scuole facili e
compiacenti).
Ora
è assolutamente necessario che il popolo si liberi dal lungo torpore a cui l’ha
condannato l’abbondante dose di droga berlusconiana (di Berlusconi sia come
capo di governo che come proprietario di televisioni private a diffusione
nazionale, che hanno terribilmente abbassato la qualità della televisione
tradizionale e, di conseguenza, i gusti e la “cultura” del pubblico) e
comprenda che questo provvedimento colpisce al cuore ogni suo progetto di
riscatto civile e sociale. A meno che questo popolo non voglia farsi
raffigurare come colui che, in un momento favorevole regalatogli da padri e
nonni saggi, sia soddisfatto di aver messo la cravatta e creda di aver
raggiunto per sempre la felicità e poi, non conoscendo la storia degli uomini,
faccia tornare indietro, per infingardaggine e colpevole ignoranza, fino ai
pantaloni con le toppe e le scarpe rotte, quando non a piedi nudi, i figli ed i
nipoti.
Quanto
al presidente Monti, egli ha la mia stima personale, perché è persona degna e
seria e non fa il Pulcinella dentro e fuori dei confini nazionali.
Ma
non capisco che cosa questo provvedimento abbia a che fare con il risanamento e
l’emergenza che oggi vive il nostro Paese.
Semmai
occorre la restituzione, alla scuola italiana, tutta intera, della sua piena
funzione e dignità di istituzione (attenzione, ho detto istituzione, non agenzia,
come è purtroppo assai spesso di moda nel linguaggio anche ministeriale di
questi tempi) costituzionalmente deputata ed organicamente strutturata per
l’istruzione e la formazione.
Si
faccia anche piazza pulita di tanta equivoca e malintesa autonomia che, lungi
dal valorizzare risorse e storia locali intese all’arricchimento culturale, facendo ricorso
spropositato alla pratica dei progetti spesso finalizzati a reperire risorse
economiche per la sussistenza della scuola, semplicemente riduce, spezzetta,
assottiglia e rende superficiali i contenuti di un sapere unitario nazionale,
producendo oggi diseguaglianze nella formazione e nell’istruzione e creando i
presupposti e giustificando, in prospettiva, future discriminazioni regionali o
locali.
Ovviamente
capisco il provvedimento come punto fermo ed occasione di successo di quella
volontà di “rivincita della destra” che
ho cercato di descrivere in precedenza.
Ma
è per questa ragione che un popolo degno di questo nome non deve accettarlo,
anzi, se approvato e convertito in legge, appena possibile, deve cancellarlo.
La
scuola pubblica italiana, la foltissima schiera dei maestri e dei professori
che ogni giorno, anche in mezzo all’incomprensione generale, anche di fronte ad
attività e pratiche demolitorie di
ministri che hanno remato contro
anziché aiutarli e sostenerli nella loro opera quotidiana di lotta contro
l’ignoranza e l’arroganza degli ignoranti, fanno il loro dovere di educatori,
sono, essi sì, una risorsa preziosa per la rinascita del Paese.
Essi,
quindi, si propongano di cambiare questo provvedimento, anche migliorando la
qualità del loro lavoro, oserei dire della loro santa missione, perché questo
provvedimento, appunto, vanifica ogni loro sforzo e condanna alla marginalità
sociale ed economica tanti giovani volenterosi ma privi di mezzi.
Uno
stato ricco dell’esperienza di duemila anni di storia, lo Stato della Città del
Vaticano, nonostante i suoi macroscopici errori commessi nel corso dei secoli,
dovrebbe insegnare qualcosa circa l’opportunità della promozione avveduta delle
energie migliori senza discriminazione alcuna, se consente anche al figlio di
un umile contadino di arrivare all’apice della piramide e della “carriera”
ecclesiastica: parlo di Angelo Roncalli, divenuto Papa Giovanni XXIII.
Non
ci vuole molta fantasia per immaginare che cosa succederà in un paese come il
nostro, dove già vige tanta “discrezionalità” nel valutare un giovane, che non
ha “santi in paradiso”, concorrente ad un posto di lavoro o di responsabilità,
se persino un titolo di studio ed un voto, che certificano in modo
inoppugnabile un percorso di studi, non varranno più come prova oggettiva ed
incontestabile di valore. Il “padrone di turno”, che seleziona ed assume, non
avrà più alcun freno alla propria libera “discrezionalità”.
Aiello
Calabro, 27 gennaio 2012
http://www.agenparl.it/articoli/news/politica/20120201-istruzione-possa-pdl-abolire-valore-legale-laurea-dannoso
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